martedì 27 novembre 2007

UB40 live at RDS


Belén dice che ascolto musica di cadaveri. Ma che c’è di male a preferire Fabrizio de André a Simone Cristicchi o gli UB40 agli Asian Dub Foundation? Anzi a proposito degli UB40, il gruppo pop-reagge di Birmingham suona alla Royal Dublin Society (RDS) di Dublino questo lunedì. Convinco Belén a vedere e sentire cosa sanno fare questi vecchietti. La sera del concerto arrivo in ritardo davanti alla Main Hall dell’RDS. Ho perso tempo in un inutile incontro sui diritti civili in Irlanda all’Eco-Unesco. Quando entro nella sala il concerto è iniziato da qualche battuta: il gruppo di supporto ha iniziato a suonare alle sette e trenta, mezz’ora prima dell’inizio previsto. Gli UB40 sono gia' sul palco quando arrivo. Riconosco l’attacco di “Red Red Wine”, accolto da un boato. Le luci sul palco lampeggiano intermittenti, colpi di decine e decine di flash rosa pastello, verde acqua, azzurrino, arancione, rosso fuoco, giallo e finalmente il bianco accecante delle luci ad arco.
Mi sento euforico, un po’ mi tremano le gambe per la corsa che ho fatto e per la violenza dell’urto, per il fatto di trovarmi immerso in una folla che sempre, allo stadio, nei palasport, negli shopping centre mi dà un senso immediato di soffocamento. Poi tutto passa, finche' non prendo coscienza di essere io stesso non più soltanto un individuo separato, ma l’elemento di un fatto collettivo. Così inizio a guardare non più con i miei occhi, ma con quelli della folla. Mi abbandono alla musica ai salti di chi mi sta attorno – una distesa di capelli chiari e di volti giovanissimi – alle danze, agli spintoni, alle urla. Il rimbombo della musica è assordante. Alcune migliaia di persone stipate nella sala che sudano, fumano, gridano, ballano, si abbracciano, si liberano di qualche indumento facendolo volteggiare nell’aria, si baciano, si urtano nel tentativo di giungere sotto al palco, là in fondo. Io mi metto ai margini della folla e vado nella catering hall grande quanto la main hall, giusto adeguata a questo simpatico popolo di alcolizzati. Centinaia di irlandesi mangiano chicken sandwich, hot dog, chocolate crepes e ovviamente pinte e pinte di Miller e Budweiser sopra un pavimento diventato un pantano di birra e fango. Torno nella main hall. Non riuscirò mai a trovare Belén, che – penso - arrabbiata non risponde ai miei messaggi sul cellulare. Sarebbe un miracolo trovarla, anche se ai miracoli io ho sempre, sinceramente, creduto. Bevo una birra e fumo finchè non mi sento completamente dissolto nell’onda collettiva che salta e canta. Mi muovo sulle gambe e scrollo la testa.
La musica incalza fortissima. I colpi della batteria elettronica sparati a qualche migliaio di watt fanno vibrare la cupola della sala. La luce sul palco è rosso intenso. Gli spettatori si divincolano, si contorcono sui fianchi, ancheggiano convulsamente pur seguendo un ritmo preciso. C’è gente che salta, altra che grida, chiome che oscillano freneticamente, braccia stese in alto, dritte, lunghissime, riccioli neri, nuche grondanti sudore, schiene, gambe, busti che oscillano e si agitano. Io mostro il mio braccialetto rosa - dato a chi ha prenotato i biglietti e ha diritto a stare sotto il palco - e mi trovo improvvisamente nel mezzo di un gruppo di cinque-sei ragazzi che ballano in circolo difendendo quasi selvaggiamente la loro porzione di spazio. In terra hanno ammucchiato giacche, cappotti, borse, pullover, sciarpe. Le ragazzine del gruppo mi circondano ridendo, mi stringono, mi colpiscono con tocchi rapidi dei fianchi intrappolandomi nella danza. Io sorrido e grido qualcosa. Una ragazza mi abbraccia, mi bacia, cerca di stringermi a sé. Una persona si avvicina e mi trascina via. E’ Belén con un cappello rasta e un cannone di 12 centimetri in bocca. “Do you like the other side of Belén?”, mi chiede ridendo. La guardo sorpreso e sorrido, “I like it”. Gli UB40 iniziano a suonare “Can’t Help Falling in Love”. Balliamo abbracciati per tutta la sera e la notte.

Pic: UB40 live at RDS
Song: UB40 - Red Red Wine
Link: www.rds.ie

sabato 24 novembre 2007

Celtic Tour - Galles


Il viaggio in treno lungo la costa da Liverpool verso il Galles è una meraviglia. Dal treno che passa a pochi metri dall' Irish Sea vedo susseguirsi piazzole di caravan, navi in disarmo, pecore e casette in legno. Mi fermo a Bangor e passo qualche giorno per villaggi nel Galles del Nord. Non ho piani, non ho letto guide, non ho prenotazioni. Ho solo un orario degli autobus locali del North Wales stampato a Liverpool, il mio zainetto di velluto verde e voglia di meravigliarmi. Prendo un ramblers bus ticket per 3 giorni e vago per le tortuose strade gallesi con bus eternamente in ritardo. Quando vedo un villaggio che mi piace mi fermo e vedo se il locale Inn (un pub con 1 o 2 stanze nel piano superiore) mi può ospitare. Stupisco non poco i locandieri che si trovano di fronte probabilmente per la prima volta nella loro vita un italiano in un giorno feriale di Novembre. Trovo sempre un caloroso “Croeso!” (“Benvenuto!” in gallese) e meravigliose stanzette semplici e pulite che non hanno subito la violenza di interior design alla moda. Per poche sterline generalmente è compresa una ricca colazione e una profumata pinta di Dyffryn Clwyd nel pub sottostante. Sono solo e nonostante la cordialità della gente sono rare le chiacchierate con i locali: non riesco e non mi sforzo di capire il loro iperbolico accento. Voglio prendermi qualche giorno tutto per me come non ho potuto fare a Cork qualche settimana fa. Voglio lasciare per qualche giorno il 38A delle 7.05 del mattino, le international dinner del sabato sera, i credit control del lavoro, i piatti sporchi sull’acquario di cucina, le telefonate interminabili con Belén, il jazz club della domenica. Voglio leggere il mio libro, fare lunghe passeggiate e ascoltare musica barocca dal mio Sandisk.
Per tornare a Dublino decido di prendere un traghetto da Holyhead. Ci sono 2 possibilità per lo stesso prezzo: il cruise che impiega 2 ore “o anche meno” oppure il ferry che impiega 4 ore “ma spesso anche 6”. Scelgo ovviamente il ferry. La stupita signorina della Irish Ferries cerca di spiegarmi che il ferry lo prendono solo i camionisti e i turisti estivi che non trovano posto nel cruise. La signorina senza poesia non sa che oltre a “truckers” e “tourists” esistono passeggeri che amano la lentezza e l’incanto del mare. La nave parte al tramonto e ho il tempo per fare una lunghissima camminata lungo la costa vicino al porto di Holyhead, nell’isola di Anglesey. Torno al porto e mi imbarco. Non è stagione di vacanze. Sul traghetto che può portare diverse centinaia di passeggeri siamo solo una dozzina: una decina di camionisti, io e una coppia di australiani.
Nonostante il freddo visito il traghetto all’interno e sui ponti. Sento l’inverno avvicinarsi e provo un senso di piacevolezza. La nebbia cala improvvisa e inaspettata. Il sole diventa di colpo un disco offuscato, pallido e poi sparisce. C’è buio e silenzio. La nave avanza nel nulla. Io sono sul ponte, a poppa, e non riesco nemmeno più a scorgere l’acqua di sotto. Fa freddo e la nebbia mi bagna. Di colpo il muggito di una sirena, una, due volte. Un suono quasi ancestrale, come di un corno che incita alla battaglia. E alla mia destra, a poche decine di metri, solcando il muro di fumo appare la sagoma enorme della chiglia di una nave. Vedo emergere dalla nebbia solo una scritta in caratteri cirillici. Lettere bianche e grandissime sospese nel grigio e dal significato per me incomprensibile. Una scritta che sfila davanti ai miei occhi e subito scompare inghiottita di nuovo dal freddo e dalla nebbia. Resto un attimo immobile, poi vado verso il bar. Ho bisogno di qualcosa di forte. Sono agitato. Mi sento come se avessi appena avvistato Moby Dick. Bevo il mio Jameson e acqua e vedo in lontananza dall’oblò le due torri della Poolbeg Chimneys e le luci della Dublin Bay. L’anima delle città di mare si può intravedere solo dal mare. Dublino benché faccia di tutto per nasconderlo è una città di mare. Dublino vista dal mare è bellissima.

Pic: Poolbeg Chimneys from Ferry
Song: Johann Sebastian Bach - Preludio e fuga a 3 voci
Link: www.nwt.co.uk

giovedì 22 novembre 2007

Celtic Tour - Liverpool


Arrivo a Liverpool da Glasgow alle 18.42 via Preston. Il Virgin Train corre veloce, ma non nasconde la inquieta campagna scozzese e le vermiglie e grigie città del nord Inghilterra. Alla Lime Street Station trovo ad aspettarmi CriCri, cioè Cristina una ragazza triestina conosciuta a Dublino e da poco trasferita a Leeds dove ha vinto una borsa di studio. Le ho parlato spesso degli ecovillaggi e delle comunità visitate in Inghilterra e lei mi ha fatto promettere di fargliene visitate uno: nei prossimi due giorni staremo alla “Shanti Community”, una comunità pacifista famosa per i suoi festival teatrali. Prima di andare nella comunità facciamo una passeggiata per la città. Liverpool è in fermento. Prossima capitale europea della cultura, la città sta completamente risorgendo e sfidando la modernità, i vecchi edifici vittoriano sono stati ripuliti e si stanno costruendo rivoluzionari edifici in acciaio e vetro. Andiamo all’Albert Dock. Il freddo è intenso, ma la città illuminata dal mare è stupenda. La zona portuale di Liverpool è un'area affascinante dove è possibile esplorare la crescita e lo sviluppo della città e dell'intera regione al di là del porto. Dai tempi in cui i monaci erano soliti attraversare il fiume Mersey su barche a remi allo sviluppo del Porto di Liverpool che lo ha portato a diventare uno dei principali e più trafficati porti mercantili europei. Il tratto più famoso della Mersey è Pier Head, ossia la testa di molo che dà vita al suggestivo e rappresentativo scorcio di Liverpool, dominato dai leggendari Liver Birds, gli uccelli da cui la città prende il nome.
Nella comunità pacifista veniamo accolti con una collana di fiori e un grembiule. La corona simboleggia la dolce e gratuita accoglienza, il grembiule la richiesta di collaborare alle loro attività comunitarie. Io decido di portare dei cartoni per il riciclo sopra una bizzarra bicicletta a 3 ruote, CriCri prima farà turni in cucina e poi si unirà a me e così ci perderemo insieme per le vie di Liverpool il giorno dopo. Dopo una cena vegetariana io e CriCri veniamo accompagnati in una saletta dipinta con 172 facce psichedeliche dei Beatles dove si sta tenendo un happening situazionista. Il pomeriggio vaghiamo per la città. Per ChinaTown (la prima al mondo), per i Docklands rinnovati, per la Cattedrale Anglicana che profuma di Muffin (per finanziarsi in una cappella c’è un caffè/ristorante), per i musei (il colorata e sorprendente Tate Liverpool, il ricco e commovente Merseyside Maritime, il noioso e deludente Beatles Story), per Mathew Street alla scoperta dei club dove iniziarono a suonare i baronetti dove ora suonano musicisti locali. Si sente aria di progresso e di modernità e di futuro ovunque. Come sono lontani gli anni ottanta tatcheriani con gli scioperi generali e le occupazioni di edifici, che a Duke Street sono stati lasciati immutati come memoria del passato problematico. Prima di andare via da Liverpool mangiamo da Yums in Bold Street, il buffet orientale con cui con 6 pounds e 40 penny puoi mangiare quello che vuoi di oltre un centinaio di piatti. CriCri torna a Leeds io vado verso il Galles.


Pic: Liverpool WaterFront
Song: The Beatles - When I'm Sixty-Four
Link: www.liverpool08.com

domenica 18 novembre 2007

Celtic Tour - Scozia


Le straordinarie idee sono rare. L’idea del mio collega di andare a vedere Scozia-Italia il 17 novembre a Glasgow è stata un’idea straordinaria. Con 8 colleghi parto dall’aeroporto di Dublino alle 6.30 con l’Air Lingus destinazione Glasgow per lo spareggio qualificazione europei con la Scozia: chi vince è dentro chi perde è fuori. Passiamo la mattinata per la città e dopo una visita all’ostello alle 16 siamo all’Hampden Scotland's National Stadium lo “scottish colloseum”, come dicono i pannelli lungo lo stadio. Il clima è festoso e colorato. 50.000 scozzesi vestiti in kilt e tartan oppure con la maglia blu crociata cantano l’inno della nazionale di calcio 500 miles dei Proclaimers: “When I wake up well I know I'm gonna be I'm gonna be the man who wakes up next to you When I go out yeah I know I'm gonna be I'm gonna be the man who goes along with you”. E’ un’occasione storica per la nazionale scozzese. Si sta per qualificare nel girone europea di ferro, quello con i campioni del mondo e i vice campioni del mondo. Bastano solo 500 miglia da percorrere ancora.
La partita inizia. Lo stadio è pieno. Non ci sono recinti. I tifosi scozzesi ci applaudono e ci sorridono. Il tempo di cantare l’Inno di Mameli con mano sul petto e dopo 70 secondi Toni segna. Siamo 0-1 per noi. Gli scozzesi continuano ad applaudirci e cantare. Nel secondo tempo pareggiano. Siamo 1-1. Gli scozzesi urlano il loro incitamento alla loro squadra fino all’ultimo minuto quando noi segniamo e spegniamo le loro speranza. Risultato finale 1-2. Noi siamo dentro la Scozia è fuori. I tifosi delusi continuano a applaudirci e congratularsi con noi. Ci regalano sciarpe e bandiere scozzesi e continuano a sorriderci e salutarci. E sarà così anche nella lunga serata scozzese con i locali che ci fermeranno per strada per fare una foto o bere una birra insieme. Come è lontana l’Italia del tifo immagine della guerra. Il giorno dopo con una sacrosanta bistecca 100oz in un pub saluto i miei colleghi che torneranno a Dublino è prendo il treno per Liverpool. Mi aspettano alcuni giorni nell’English’s Northwest e nel North Wales.

Pic: Hampden Scotland's National Stadium
Song: Proclaimers - 500 Miles
Link: www.hampdenpark.co.uk

mercoledì 14 novembre 2007

Italiani in Irlanda


  • Il Distratto
Marco, 28 anni, scorpione. Di Pavia. Vive a Dublino dal Marzo 2007. Ha sempre amato l’Irlanda, i verdi prati, la Guinness e le storie celtiche; è venuto a vivere la sua Irlanda. Vive a Dublino. Sviluppa software per la Creative. Un giorno andrà a vedere la Chester Beatty Library, la Custom House o il Trinity Collage. Non c'è fretta. Un giorno vedrà il Museo Nazionale e la cattedrale di St. Patrick's. Non c'è fretta. Un giorno andra' a vedere Cork, Galway e Belfast. Non c'é fretta. Chissà magari vedrà i Cliffs of Moher e l'isola di Aran. In tanti mesi non ha mai visto il mare. Eppure dai video degli U2 si vede il mare di Dublino e due strane torri. Ha deciso. Sabato pomeriggio andrà a Howth. Ma non c'è fretta. Anche questo sabato preferisce dormire.
  • L’Esterofila
Elisa, 27 anni, leone. Di Verona. E' venuta a Dublino 2 anni fa. Per 6 mesi ha fatto la ragazza au pair presso una famiglia di Artane. Nel mentre ha fatto un corso di contabilità alla Dublin City University. Poi si è innamorata dell'Irlanda e di John un ragazzo irlandese col quale ora convive a Phitsboro. Lavora come impiegata presso l'ufficio rimborsi tasse della contea. Il mese prossima sarà promossa manager. Parla solo inglese e quando incontra italiani fa finta di essere spagnola. E' oltre una anno che non torna in Italia, un paese che non sente più il suo.
  • L’Italiano Vero
Giulio, 31 anni, vergine. Di Latina. Vive a Dublino dall’Ottobre 2006. E’ venuto qua dice “per migliore l’inglese”. Ha trovato lavoro in un call centre di una multinazionale americana. Lavora per il mercato italiano dalle 7.30 alle 16.30 tutti i giorni. Per 8 ore risolve problemi a clienti brianzoli o lucani. Nel suo dipartimento lavorano 34 italiani, che sono anche i suoi amici. Vive con una coppia di Caserta. A volte cena con dei colleghi (la sua specialità è la pasta alla Norma che lui fa con il Cheddar non avendo trovato la ricotta secca). Ogni primo venerdì del mese fa una pubbata con gli italiani residenti a Dublino. Si ritrovano sotto lo Spire. Bevono birra e parlano di bagni senza bidet e di come mangiano male gli irlandesi. Il primo Novembre è tornato in Italia. In aereo il comandante ha dato alcune indicazioni. Non è riuscito a capirle.
  • Le Avventuriere
Carla e Fiorenza, 22 e 23 anni, entrambe bilancia. Di Messina. Vengono questa estate a Dublino, vorrebbero passare qualche mese e migliorare l'inglese. Cercano un lavoro in qualche ristorante o pub. Il livello di inglese è elementare. Non sapevano che servisse un curriculum. Lo scrivono qua. Carla indica come livello di inglese "sufficient", Fiorenza invece scrive "so so". Dopo un mese non hanno ancora trovato nulla (la stagione sta finendo). Alla fine trovano un posto da lavapiatti in un ristorante italiano di dublino sud. Resistono tre settimane. Poi tornano in Sicilia.

n.b. Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale.

Pic: Tagliatellata tra italiani a Dublino
Song: Elio e le Storie Tese - La Terra dei Cachi
Link: www.irlandando.it

giovedì 8 novembre 2007

Gli Invisibili


Dublino è una città sporca. Ma quasi nessuno se ne accorge perchè strade e marciapiedi vengono puliti in centro ogni 4 ore. Dublino è una città inquinata. Ma quasi nessuno se ne accorge perché piove ogni giorno. Dublino è una città con tanti alcolizzati. Ma quasi nessuno se ne accorge perché appena la Garda ne trova uno lo porta via. Dublino è una città piena di poveri e emarginati. Ma quasi nessuno se ne accorge perché appena un homeless o un immigrato clandestino chiede la carità per strada viene portato via dall’onnipresente poliziotto di quartiere o dalle Sorelle della Misericordia.
Il fatto che noi non vediamo le cose non significa che non esistano. Chi non vede ghetti pensa che non esistano. Invece ci sono. Basta avere gli occhi, il cuore e lo stomaco per cercarli e vederli. Forse chi vede in Dublino solo integrazione, progresso e opportunità non ha mai visto le dozzine di cinesi che dormono ogni notte affianco uno su l’altro sui pavimenti dei negozietti asiatici di Parnell Street. Non ha mai visto le sartorie di africani nei seminterrati senza finestre di Abbey Street a pochi metri dallo Spire. Oppure non ha mai notato i muratori moldavi pagati in nero che lavorano 14 ore al giorno nei nuovi palazzi di vetro e acciaio a Clontarf. O le stirerie pakistane nel nuovo quartiere posh di Dublino, cioè Smithfield in cui passano tutta la giornata a lavorare ragazzine di 14-15 anni a fianco ad appartamenti di 100 metri quadrati in vendita a 300 mila euro.
Forse sarà il mio passato da operatore nella solidarietà internazionale, ma anche a Dublino non posso che chiedermi cosa stia facendo l’Occidente al Sud del mondo. Anche l’Irlanda, ex colonia che ha dovuto subire tanti abusi e violenze nella storia non è innocente. Con quale ipocrisia l’europeo impone regole e comportamenti come se i valori fossero ancora dell’Occidente quando invece tutto dimostra il contrario? Quale è la ragione per cui da ogni angolo del mondo i più disgraziati, i più poveri, i reietti della storia, le valanghe di straccioni, le orde di pezzenti e di medicanti invadono le città dovendo addirittura scimmiottare, per integrarsi, di essere educati, perbenisti, ipocriti come una immensa middle class europea?
Come non provare una immensa, profonda, proprio interiore vergogna nel vedere gli occhi del ragazzo indiano con la sua giubbetta McDonald steso sul letto nel tentativo di recuperare qualche ora di sonno fra un turno e l’altro? Il risultato è che ci stiamo contendendo le città palmo a palmo con i poveri. E io posso già vedere la vecchia Europa, con tutta la sua grandeur e la sua cultura conquistata dalle masse dei più miseri, dei più affamati, dei più sfruttati. Sarà la loro guerra. I poveri si vendicheranno seminando figli ovunque, riproducendosi a raffica come il crepitio delle mitragliatrici, occupando ogni postazione con i propri cadaveri, usando se stessi come forza di sfondamento. Vinceranno, e di loro, evangelicamente, sarà la terra.

Pic: By the River Liffey, Dublin
Song: Miriam Makeba - Pata Pata
Link: www.ria.gov.ie

martedì 6 novembre 2007

Dublin ghetto


Dublino non ha una periferia degradata. Il degrado arriva fino in centro. A differenza di altre città con un centro pulito e lindo e un hinterland abbandonato, a Dublino trovi quartieri residenziali affianco a dormitori in periferia e ghetti insieme a quartieri bijoux in centro. Questo lo trovo meraviglioso e vitale. Ma anche sorprendente. Vado in centro per vedere alcuni appartamenti e mi trova di fronte la faccia nascosta di Dublino: quella dei ghetti per extracomunitari.

L’annuncio indicava un bilocale per 800 euro. Nulla per i prezzi folli di Dublino. Vado a cercarlo nei pressi di Mountjoy Square a Dublin 1 in pieno centro di Dublino. Trovo una palazzina di mattoni rossi schiacciata tra una strada senza uscita e un piccolo convento. Nell’ingresso c’è una specie di bureau. L’aria è pesante, sa di chiuso e di cibi fritti. Mi accoglie un pakistano piccolo e dalla pelle livida. Parliamo del prezzo e della modalita’ di affitto. Poi arriva una inserviente per portarmi a visitare il bilocale. E’ una donna grassa, esuberante, dai capelli rossi. Ha un’espressione incattivita, incarognita. Parla a scatti trascinandosi sulle scale. Indossa un camice bianco. Dal fianco destro pende sulla coscia un mazzo di un centinaio di chiavi e passepartout infilati in un grande anello. A ogni chiave e’ legata una targhetta metallica con su un numero o una lettera. Il rumore della ferraglia, scalino dopo scalino, è atroce. Come di un clangore di catene. Lei ha uno chignon rosso unto in cima al capo, come una frittella, e quando alza la gamba per affrontare il gradino il grembiule le scivola, torcendosi un poco, sulla natica e scopre il retro della coscia grumosa, di un biancore osceno, compressa in una calza di nylon arrotolata, come un insaccato in un budello.
Salita la prima rampa di scale arriviamo in un corridoio strettissimo in cui passiamo con le spalle addossate alla parete. Di fronte c’è una parete bianca di compensato in cui si aprono piccole porte simili a quelle di un vagone letto. Lei sceglie una chiave e spalanca, verso l’interno, la porta. La luce è diffusa da neon che non si spengono mai, una luce lattiginosa e senza ombre. Nello stanzino c’è una branda, lenzuola arrotolate, un tavolino colmo di abiti, una sacca aperta traboccante di biancheria usata. Un giornale sportivo arrotolato attorno al neon. Non c’è la finestra. Un fornellino elettrico con un tegame, qualche tazza, resti di caffe’. La puzza di cibo avanzato è insostenibile. La donna mi guarda, scuote la testa senza dire una parola. Allora lei prende a spalancare tutti uno dopo l’altro tutti i loculi di quel corridoio, cinque o sei. Uno dopo l’altro come un controllore. Non bussa, non parla. Ripete solo il prezzo del loculo. Sdraiato su un letto, vestito con la divisa puzzolente del McDonald, c’è un ragazzo di colore che dorme. Non protesta per quell’intrusione, si getta sotto il cuscino sul viso. In un’altra stanza c’è una finestra. Un piccolo angolo. Le pareti la tagliano dividendola con altri loculi in modo che al piano di sopra avranno una finestra a livello del suolo e qui a livello del bassissimo soffitto.
La donna è ancora sulla soglia con il suo mazzo di chiavi in mano. Io dico semplicemente “Ho visto, le farò sapere” e cerco di andarmene. Voglio fuggire, dimenticare questa intrusione nella piccola e disperata intimità di questo popolo oppresso e sfruttato, che lavora una media di dieci, quindici ore al giorno per potersi pagare quegli avelli infernali. Scendo le scale e su un pianerottolo vedo una fila di porte strettissime, una a ridosso delle altre. Immagino di cosa si tratti. Ne apro una. In uno spazio inferiore al metro quadrato sono un w.c. e un piccolo lavandino. Una toilette bassa e claustrofobica come sugli aerei. L'unica differenza è che da qui non si va da nessuna parte, solo verso il dolore e i disperati abissi dell'emarginazione.
Devo camminare un pò per togliermi dalle narici l'odore di quell'inferno. Mi fermo in un pub per una pinta di Guinness.

Pic: Dublin CityCentre
Song: Daniele Silvestri - Io Fortunatamente
Link: www.immigrantcouncil.ie

domenica 4 novembre 2007

Autunno Jazz – Passeggiate silenziose


La sera il concerto del Richard Galliano/Gary Burton Quartet è bellissimo. Molto deludenti invece i The Leaders e se Chico Freeman è il migliore sax tenore vivente come ha scritto Mojo io sono il miglior armonicista del creato. Per altro abbastanza d’urto il passaggio dai tango e le musette suonate da Galliano con il sincopato free jazz dei The Leaders. Nella seconda parte in effetti nonostante l’alto costo del biglietto parte del pubblico va via oppure dorme, come Sarah che informata dell’arrivo inaspettato decide comprensiva di rimanere nel teatro, mentre io verso le 11 vado alla stazione degli autobus di Cork.
Belén scende per prima. L’accolgo, le prendo la valigia, prendo il mio zainetto all’ostello e andiamo alla Crawford House, il B&B in stile georgiano con ampie stanze dipinte di morbido verde che ha prenotato per stanotte. Decide di pagare tutto lei e io a un certo punto cedo. In fondo il suo stipendio è quasi il doppio del mio ed è stata sua la scelta di venire qua. Fino all’arrivo al B&B quasi non parliamo. Parleremo invece tutta la notte fino all’alba. L’alba ci saluta che ancora ci confrontiamo e troppo stanchi per andare a dormire facciamo una passeggiata lungo i docklands di Cork, tra pescherecci e navi container ancorati sul bordo del Lee River. Incomincia a piovere e io cerco rifugio sotto una barca in riparazione mentre Belén danza sotto la pioggia. Vorrei essere altrove.
Torniamo alla Crawford House dove troviamo una allettante colazione con pane all'uvetta, marmellata fatta in casa e caffè preparato con la moka visto che sono italiano. Mangio solo io. Dormiamo qualche ora e poi giriamo silenziosi per Cork tra musicisti di strada e bande che fanno la loro allegra parata per le strade principali. Visitiamo il Lewis Glucksman (il migliore museo di arte moderna d’Irlanda) dove è allestita l’interessante mostra “Beyond the country” sul rapporto uomo/natura. Risaliamo il Lee South Channel e torniamo in centro. Mangiamo al Quay Co-op, ristorante vegetariano punto di riferimento della Cork alternativa, dove il cameriere/artista cerca di venderci alcuni suoi quadri. Il pomeriggio prima di ripartire prendiamo il treno per Cobh, isolotto posto alla foce del fiume Lee proprio davanti alla città di Cork, Great Island; nonostante ciò non servono imbarcazioni per raggiungerla, dato che è molto vicina alla terraferma alla quale è collegata con una serie di ponti con Fota Island. Cobh appare allegra e colorata anche se qui fece il suo ultimo scalo il Titanic e il Lusitania poche miglia al largo venne silurato nella seconda guerra mondiale (toccante dietro l’imponete cattedrale St Colman il cimitero dove sono sepolte molte salme). Cobh è un posto piacevole dove passeggiare e immaginare con commozione le migliaia di irlandesi che da qui partirono verso l’America per sfuggire alla carestia o alla povertà.
La sera prendiamo il bus per Dublino. C’è stato poco jazz nella giornata. E mi accorgo solo ora che la mia ricerca di solitudine è stata fallimentare essendo sempre stato sempre con qualcuno al mio fianco durante i tre giorni (non sono riuscito al leggere una riga del mio libro). Sento il bisogno di lontananza anche durante il ritorno in autobus dove con Belén al fianco continua a esserci tensione. A un certo punto vedo Belén che cerca una posizione per riposare. Alzo il braccio e le offro un appoggio. Lei rifiuta. Io insisto. Lei si accovaccia. Le accarezzo i cappelli. Lei si volta verso di me, mi guarda sorridendo con gli occhi chiusi e mi stringe fino a farmi quasi soffocare. Le ricambio la stretta. Lei dopo pochi secondi cade in un sonno profondo e liberatorio fino a Dublino. Io non chiudo occhio. Al mio fianco non so più chi c’é. Di certo non più un amica.

Pic: Charles Fort, Kinsale
Song: Ryuichi Sakamoto - The Sheltering Sky
Link: www.quaycoop.com

giovedì 1 novembre 2007

Autunno Jazz – Per la contea di Cork


Arrivo allo Sheila’s Hostel con le compagne di viaggio in bus Rosa e Maria Sol due ragazze spagnole con cui si decide per andare insieme per Cork la mattina successiva. Erano alcuni anni che non frequentavo ostelli. Mi ero dimenticato che oltre che occasione di incontri sono anche momenti di condivisioni di odori e rumori. Nella mia camera da 4 trovo un ragazzo giapponese dal nome impronunciabile, una ragazza francese molto bella che dorme in tanga e mini body e un tipo con cui non scambio una parola, ma di cui non posso non notare il suo russare da trattore senza guarnizioni e il suo ph acido (in altre parole puzza come un coyote bagnato…). La bella francese pare abbia effetti sul giapponesino che si masturba selvaggiamente tutte le notti facendo cigolare per ore il suo letto a castello accordandosi al coyote-trattore che dorme sotto di me. Bella invenzione i tappi per le orecchie in gommina…
La mattina con Rosa e Maria Sol andiamo in giro per la città: si visita il tetro e toccante Cork City Gaol, si gira per le stradine di Shandon, si sale sul campanile della St Anne’s Church e suoniamo le campane del “Four-Faced Liar” (il campanile che in ogni facciata indica un’ora diversa). Dopo una lezione di danza jazz al Firkin Crane e un sandwich al T Cups Cafè cerco di convincere le ragazze della bellezza del jazz. Il modo migliore per approcciarsi al jazz è capire “come funziona” e vedere un concerto Dixieland. E quello che faccio. Il festiva Jazz di Cork si sviluppa in 3 momenti fondamentalmente: i grandi eventi nei principali teatri, il Guinness Festival Club al Gresham Metropol Hotel dove dalle 13 all’alba ci sono continui concerti gratuiti contemporaneamente in 6 salette, il Festival Fringe & Cork Jazz Week e il Musica Trail nelle strade, nei pub, nei ristoranti, nelle librerie, nei shopping centre, nei cinema, nei club, negli hotel, nei ristoranti dove si può assistere a musica live, parate stile New Orleans, mostre, video, conferenze, lezioni di danza, musica o cucina creola, etc. Molto divertente passare il pomeriggio al Gresham Metropol Hotel dove bevendo Guinness sulla elegante moquette si gira per salette in ricerca del proprio stile jazz preferito. Le ragazze spagnole dopo aver cantato a squarciagola When the Saints go marching In con i Golden Age of Jazz Allstars sono conquistate subito al jazz. Certe cose succedono solo in Irlanda.
La sera la passo in giro per locali di Cork che quasi tutti aderiscono al festival e presentano musica live. Faccio crowl tra dozzine di concerti di ogni tipo per la città: al The Rob Roy c’è musica irish, al An Bodhran swing, allo Scott ska, al Long Valley blues, allo Old Oak rock revival, etc. Sarà il festival, sarà la divertente compagnia, ma Cork mi appare molto vitale. Ci vado insieme a Tatiana una ragazza italiana che studia a Cork che avevo conosciuto a Dublino un paio di mesi fa e sapendo della mia presenza si è offerta di portarmi in giro la sera (non di giorno perché sta preparando un esame). In un locale si aggregano a noi 2 ragazze di Sligo e un danese qua per il festival. Dopo qualche Guinness sembriamo amici da sempre. Certe cose succedono solo in Irlanda.
Il giorno dopo vado a Kinsale una cittadina ricca di vita e di colore. Strette case serpeggianti, case minuscole, barche da pesca e yacht danzanti alla fonda conferiscono al luogo un aura seducente. Sul pulmann incontro Sarah, la fidanzata inglese di un chitarrista che suona al festival di Cork. Mentre mi racconta la sua vita facciamo i 3 chilometri di sentiero sulla splendida costa fino al Charles Fort, una fortezza seicentesca con la pianta a stella. A pranzo accompagnati dalla musica live dei The Chili Brothers per il Kinsale Jazz Fringe Festival (una succursale di quello di Cork) mangiamo al Muddy Maher’s insieme a un paio di pinte di Kinsale (una discreta lager locale) un Ocean Chowder e il famoso Muddy’s Fish Fry up!, cioè una fantastica zuppa oceanica e un gigantesco piatto di scampi, ostriche, fish cake, gamberetti, fish goujions e french fries. Il pomeriggio ascoltiamo un po’ di musica negli allegri locali della cittadina e decidiamo di vedere insieme il concerto la sera al Everyman Palace Theatre di Cork. Suonano i grandi Richard Galliano/Gary Burton Quartet e i The Leaders capitanati da Chico Freeman, che si dice sia il miglior sax tenore vivente. Prendiamo il pulmann delle 16.45 e in viaggio decidiamo di scambiarci i numeri di cellulare per rivedersi la sera. Riaccendo il Motorola che da 2 giorni tenevo spento e trovo 5 sms papiro di Bélen. Nell’ultimo mi dice che deve parlarmi subito di persona. Che sta venendo a Cork. Che ha prenotato un B&B per noi stanotte. Che è sicura di trovarmi al suo arrivo. Che sarà a Cork alle dieci e mezzo di sera. Novità in arrivo…

[continua….]

Pic: Golden Age of Jazz Allstars, Gresham Metropol Hotel, Cork
Song: Richard Galliano - Opération tango
Link: www.muddymaher.com