sabato 29 dicembre 2007

Il peggio di Dublino – Parte prima


  • L’ Heineken Building
Nel cuore di Dublino c’è un palazzo patologicamente più alto degli altri. E’ moderno e grigio. Sulla sua facciata principale c’è una scritta gigantesca “Heineken”, che nella città della Guinness appare provocatorio. L’ Heineken Building è l’esempio più evidente dello stupro che Dublino ha subito con la costruzione di edifici moderni che sono affiorati negli ultimi anni, prevalentemente lungo il Liffey. I Dubs dicono che sono troppo moderni, invece è il contrario. Gli architetti non hanno avuto abbastanza coraggio e hanno progettato edifici moderni che facevano l’occhiolino all’antico (osceni finti tetti verdi in rame su palazzi di vetro, pleonastici mattoni amaranto su strutture di acciaio, etc.). Speriamo che il grandioso progetto di riqualificazione e urbanizzazione dei docklands (che comprenderà la discussa U2 Tower) non dia un colpo mortale alla città di Joyce.
  • La Provvisorietà
A Dublino se non si è irlandesi si è di passaggio. Non si rimane per sempre. E allora le amicizie, le conoscenze e gli amori durano poco. Perché finisce il corso di inglese, perché termina il contratto di lavoro, perché ci si trasferisce in un’altra città irlandese, perché il fidanzato ha detto di “tornare a casa”. E allora se non si frequentano esclusivamente autoctoni o se non si rimane chiusi nel proprio ristretto circolo amicale di connazionali le relazioni umane possono anche essere forti e intense ma inevitabilmente diventano quasi sempre transitorie.
  • Red Tape
Un tempo i documenti pubblici venivano chiusi con un nastro rosso. Per questo motivo la burocrazia in Irlanda si chiama “Red Tape”. La burocrazia irlandese (a parte poche eccezioni come il NDP-National Development Plan che sta utilizzando in modo esemplare i fonti europei e che non ha caso è stato oggetto di una sorta di "privatizzazione" svicolandolo da altri apparati statali) è una delle peggiori d’Europa e compete per inefficienza con quella italiana. Per ottenere il PPS number (una sorta di codice fiscale che vi serve per lavorare da queste parti) potrebbe capitarvi come me di dover andare negli uffici di Dublino 2 dove vi diranno di andare negli uffici di Dublino 11, dove vi diranno di andare negli uffici di Dublino 1, dove vi diranno di andare negli uffici di Dublino 2. In questi casi spesso risolutiva è la seguente frase: “Could I speak to your supervisor, please?”.
  • Traffic Jam
In gaelico Dublino si chiama Baile Átha Cliath, che significa "città del guado fortificato". Dublino sorge su un ex acquitrino. Questo ha impedito in passato la costruzione di una anche piccola metropolitana sotterranea. E senza adeguati mezzi pubblici (il tram/Luas e il treno/Dart sono efficienti ma i bus sono un supplizio) la città diventa un inferno di macchine a passo d’uomo. Fatto comprensibile vista la configurazione urbana della capitale divisa a metà dal Liffey, ma nondimeno irritante e problematico (il tempo medio di viaggio da casa a posto di lavoro a Dublino è il più altro tra le capitale europee: 70 minuti). Sono previsti cambiamenti nei trasporti cittadini nei prossimi anni con l’interconnessione tra i diversi mezzi di trasporto e con il prolungamento sotterraneo di due linee di tram in centro città. Vedremo.
  • Temple Bar
Al centro di Dublino c’è una Disneyland cafona abitata quasi esclusivamente da italiani, spagnoli e francesi. In questo posto tra folle di turisti distratti potrete bervi una pinta di birra per 7 euro e rimanere pigiati tra centinaia di persone in pub e club volgarmente ristrutturati “old fashioned”. Parliamo di Temple Bar un quartiere degradato fino a qualche anno fa che la municipalità decise a freddo di far diventare quartiere culturale e turistico incentivando se non proprio pagando l’insediamento di gallerie d’arte, ristoranti, librerie, pub, centri culturali (qua ha sede l’Irish Film Institute e il Project). Tentativo fallito. Temple Bar puzza di plastica e di artefatto. La cultura e l’arte abitano altrove a Dublino. Evitate Temple Bar. In particolare il Venerdì e il Sabato sera.

Pic: Dublin Docklands

Song: Oscar Peterson – It's a Marshmallow World
Link: www.templebar.ie

martedì 18 dicembre 2007

Incontri - Prima sfornata



  • L’amica jazz

Oggi è partita Daniela, la mia amica jazz. E’ stata una delle persone che ho più frequentato nei miei primi mesi dublinesi. Daniela è una fantastica cantante Jazz dalla voce acuta e intensa che qua a Dublino faceva la ragazza au pair dallo scorso inverno in una famiglia di Blackrock. Prima che a fine Ottobre venisse il suo fidanzato sassofonista Ciro e io iniziassi a frequentare Belèn, con Daniela per diversi mesi ci siamo divertiti a frequentare insieme i Jazz Club di Dublino prima che lei li frequentasse come cantante (al Bleu Note ha cantava nel gruppo in cui suonava il fidanzato). Ci teneva uniti, la simpatia, l’amore per la musica e le sue serate libere (domenica e lunedì), le migliori per andare nei club e nei pub con musica dal vivo, finalmente libere dalla folla di ubriaconi del fine settimana. Daniela era una persona desiderosa di conoscere gli "irlandesi". E allora cercava amicizie non avendo paura di andare da sola in pub nel pomeriggio, girare per conto suo, fare volontariato nella vicina parrocchia. E alla fine ha conosciuto i suoi irlandesi e ha sviluppato una sua visione dell’Irlanda. Ora torna in Sicilia. Prossima meta Londra a Febbraio. Good Luck Jazz Friend!

  • La cuoca polacca

Da Giugno almeno un paio di sabato al mese io e Zyta organizziamo la Saturday International Dinner, cioè una cena internazionale in cui si è in massimo due per nazionalità e massimo 6 commensali, si parla esclusivamente inglese e si mangia il cibo tradizionale preparato dal partecipante che quel sabato offre la cena a casa sua. L’idea era nata - durante la frequentazione del corso di Business English che frequentavo con Zyta - dal reciproco amore per il cibo, l’odio per i caotici sabati sera dublinesi e la necessità di parlare quanto più possibile l’inglese. Zyta lavora in una societa' di recruiting, ma e' anche una cuoca meravigliosa, specialmente per i dolci come cheesecakes e butter cakes. Ma è soprattutto una amica che mi chiama nel cuore della notte quando si sente triste e vuole tirarsi su con il mio “bizzarro accento inglese”. Un’amica che posso andare a trovare nella sua casa a Baggot Street la sera senza avvisare per guardare insieme ai coinquilini sloveni qualche inutile programma televisivo. Un’amica con cui faccio tante escursioni domenicali in giro per l’Irlanda alla ricerca non di paesaggi o di musei ma di buon cibo, dove il momento migliore e' fermarsi nel tipico ristorantino locale e spettegolare sui commensali del giorno prima.

  • Marianne, tutte le storie hanno una fine

Il mese scorso ho ricevuto un cd dalla Normandia. Me lo ha spedito Marianne. Dentro ci sono 15 canzoni cantante dalla mia ex coinquilina tra le tante di cantanti italiani che le avevo fatto avere in MP3. Insistevo nel dirle che non esiste solo Toto Cotugno, ma anche Fabrizio De André, Francesco Guccini, Samuele Bersani e Franco Battiato. Tra le tante canzoni ne ha inserito una (Bambulé di Alberto Camerini) di in cui ha mixato artigianalmente io che canticchio, durante una registrazione presa a tradimento. Sarebbe dovuta venire a trovarmi a Novembre, ma le nostre strade hanno preso vie diverse e lei ora frequenta un suo compagno di corso di specializzazione e abbiamo deciso che il nostro incontro è nato e finito in Irlanda. Nei percorsi della nostra vita ci si incrocia e poi ci si separa e non sempre questo diventa un dramma, ma semplicemente e meravigliosamente una esperienza umana che ti arricchisce. Come tutte le storie, la storia con Marianne ha avuto un inizio, un percorso e una fine. Ci sono stati momenti positivi e altri negativi, che non hanno trovato quasi mai posto nelle pagine del blog, ma che sono stati tra i momenti più importanti della mia esperienza in Irlanda. I miei primi mesi in Irlanda, forse i migliori.

Pic: Io, Daniela e Gabro all'International Bar Jazz Club
Pic: Io e Zyta all'Andy's Restaurant di Monaghan
Pic: Marianne at Home
Song: Alberto Camerini - Bambulé
Link: www.monaghantourism.com

mercoledì 12 dicembre 2007

La festa è finita


C’era una volta la Tigre Celtica. Cioè una nazione – l’Irlanda – che da paese di emigranti in bilico tra sviluppo e sottosviluppo con un’economia basata sull’agricoltura arretrata e non competitiva, negli anni novanta, ebbe una crescita senza precedenti. Il PIL triplicò in pochi anni, i salari passarono dal 60% della media Europea al 135%, la disoccupazione crollò dal 12% al 4%, gli investimenti e le importazioni subirono una crescita iperbolica. Grazie all’efficiente uso dei finanziamenti europei, una politica di deregolamentazione del mercato del lavoro, una politica di detassazione, investimenti nell'istruzione e nella ricerca e sviluppo, si era creata un clima favorevole agli investimenti esteri e nel paese arrivarono numerose multinazionali americane principalmente nei settori dell'elettronica, del software, dei prodotti farmaceutici, della finanza, degli apparecchi medici e della biotecnologia che crearono indotto (piccole imprese, start up, edilizia, servizi, etc.) e tanto lavoro. Il lavoro creato era tanto che l’offerta di posti di lavoro superava la domanda. Erano quindi ben accolti immigrati in particolare personale qualificato da tante nazioni europee che sostenevano lo sviluppo anche grazie a conoscenze che gli irlandesi non avevano come la dimestichezza di altre lingue oltre l’inglese.

Oggi la Tigre Celtica non ruggisce più. A Dublino la Xerox sta licenziando 900 dipendenti, a Galway la Abbott ha recentemente licenziato 500 lavoratori, a Cork la Beedle Pharmacies l'anno prossimo si priverà di 300 stipendiati. E molte multinazionali del settore high-tech (Microsoft, Symantec, Creative, etc.) hanno già pianificato il loro trasferimento in Asia o in paesi dell’Est Europa e a breve dunque i licenziamenti aumenteranno. Ma i dati più preoccupanti non sono questi, quanto il fatto che le start up hanno raddoppiato negli ultimi mesi la percentuale di fallimento e questa estate si sono persi oltre 15.000 posti nelle piccole e medie imprese irlandesi. Che le multinazionali sarebbero andate via si sapeva. Il problema è che nel periodo della crescita l’Irlanda non è riuscita a dotarsi di serie infrastrutture e a far crescere un’economia locale non dipendente unicamente dagli investimenti esteri. La competitività globale del paese è in fase discendente e i settori della ricerca e sviluppo e dell'istruzione superiore, due degli indicatori della relazione per misurare i futuri progressi, non sono adeguati affinché l'Irlanda possa conseguire il suo ambizioso obiettivo di diventare una “economia della conoscenza” di portata mondiale. Negli ultimi anni inoltre c’è stato un crollo del mercato immobiliare che regge buona parte dell’economia irlandese ed un aumento del numero degli irlandesi sotto la soglia della povertà. La situazione del lavoro è inevitabilmente peggiorata, alcuni giorni fa il CSO (Central Statistics Office) ha evidenziato come circa 165.000 persone (il 4,8% della popolazione) a Ottobre di quest’anno si sia dichiarate senza lavoro, il dato piu’ alto da 7 anni. Le previsioni sono di superare il 5,5% di disoccupati nel 2008. Questa situazione di stallo economico è stata ben compresa dal governo irlandese che nel suo budget 2008 (la locale finanziaria) prendendo atto della diminuzione delle entrate fiscali e per la prima volta dall’inizio del boom economico ha aumentato le tasse e le spese per le politiche sociali.
In concreto questa cosa significa? Significa che se qualche anno fa un italiano con un discreto inglese e qualche conoscenza informatica o finanziaria trovava quasi immediatamente un lavoro qualificato ora la situazione non è così semplice. Dublino è ora affollata d’ingegneri che lavorano in call centre, giuristi che fanno i camerieri e studenti che non trovano lavoro da cameriere perché tutti i posti sono presi dai polacchi o dagli spagnoli. Nel mio piccolo mi accorgo che la situazione non è più tanto sorridente quando mi candido per alcuni ruoli in società multinazionali. Mi capita sempre più spesso che il recruiter mi telefoni e mi dica “Mi dispiace ma a Dublino non c’è la possibilità, ma se lei è interessato c’è la fattibilità di una interview per lo stesso ruolo a Londra”. Ed io che prima di venire ero convinto che il mercato del lavoro londinese fosse molto più competitivo e difficile che quello irlandese! Se in Irlanda non avessi degli affetti e tanto ancora da scoprire valuterei la possibilità di trasferirmi nella vecchia Inghilterra. E se la situazione lavorativa non si sbloccasse nel medio periodo, non lo escludo in assoluto.

Pic: The Big Issues, Connelly Station, Dublin
Song: Enya – Only Time
Link: www.cso.ie

lunedì 10 dicembre 2007

Sulle orme di Cùchulainn


Venerdì e sabato era il mio turno. Toccava a me fare il crocerossino dopo che martedì e mercoledì Belén era al mio capezzale a farmi compagnia e farcirmi di inutili rimedi omeopatici e devastanti zuppe di antica tradizione basca a base di aglio e tabasco per curare la mia influenza affrontata da me con tutta la pavidità possibile. Venerdì sera Belén febbricitante mi apre la porta della sua bella casa sul Liffey, si presenta con calzettoni rossi con disegnate renne natalizie, mio maglione irlandese di lana color panna con le maniche farcite di fazzolettini di carta, cuffia fatta a mano a righe viola e gialle e scialle nero della nonna con frange. “Hola Marissio!”, “Hola Granny!”. Le porto i bastoncini di cioccolato alla menta di cui lei è ghiotta e una torta salata agli spinaci fatta con le miei mani farcita furtivamente di aspirine. Bevendo latte caldo e Jameson ci vediamo “Blanca Nieves y los Siete Enanos”. Divertente. I 7 nani in spagnolo parlano come Topo Gigio! Il sabato è di convalescenza. La domenica mattina Belén è guarita e piena di energia. Mi sveglio la mattina alle 9 all’urlo di “Wake up lazy men, It's a sunny day!” e poco dopo tutte le tende verdi sono aperte e dalla finestra filtrano invadenti raggi solari. La mia idea è fare pigramente un ricco brunch al solito posto nei docklands. L’alternativa proposta è andare a Newgrange, il luogo dove secondo la mitologia celtica fu concepito l’eroico Cùchulainn. Obbedisco.
Propongo la mozione di andare in treno a Drogheda (pronuncia Drgdà) e poi da là prendere il bus che porta al centro visite di Newgrange. Mozione accolta. E fortunatamente perché la giornata è veramente bella e il treno passa lungo la costa. Dopo una mezz’oretta dalla partenza il treno effettua una fermata alla stazione di Lusk & Rush (pronuncia luscheràsc) e Belén mi trascina fuori dal treno prima che io possa vedere sulla guida dove ci troviamo. Siamo fuori perché il “nome del paese è divertente e tanto abbiamo tutto il tempo”. Peccato che non esista nessun paese chiamato Lusk & Rush, ma c’è solo questa stazione dispersa nel nulla a debita distante dal villaggio Rush sulla costa e l’altro villaggio Lusk sulle colline. Non ci siamo fermati al bel villaggio di Skerries con i suoi imponenti mulini a vento o a Balbriggan con il suo pittoresco porticciolo e la sua torre, ma alla Lusk & Rush Railway Station, dove non esiste nemmeno un pub dove aspettare il prossimo treno che passerà dopo oltre 2 ore. Arriviamo a Drogheda giusto in tempo per prendere l’ultimo bus per Newgrange. Quello delle 15.15. Prendendo il biglietto ci rendiamo conto che abbiamo controllo su internet gli orari per andare al sito archeologico, ma non quelli per tornare dal sito e l’ultimo bus parte esattamente alle 15.15! Partiamo lo stesso affidandoci a Belénos, il dio celtico del Sole. L’Apollo celtico pare che ci abbia ascoltato e riusciamo a farci dare un passaggio in macchina da Barry, simpatico studente di letteratura che nei fine settimana fa la guida nel sito e fa il cantante “ma non paragonatemi a quel fottuto di Bono, please”.
Visto da fuori, Newgrange è un deludente tumulo appiattito e ricoperto di erbacce. Ma sotto la superficie si cela la più bella tomba a corridoio dell’età della pietra di tutta l’Irlanda e uno dei più interessanti siti preistorici d’Europa. Risale al 32.000 a.C. circa ed è dunque più antica delle piramidi d’Egitto di circa sei secoli. Non è ancora chiaro lo scopo per cui venne costruito. Forse era il luogo di sepoltura dei re o un luogo in cui si svolgevano dei rituali, ma l’allineamento con il sole durante il solstizio di inverno fa pensare che forse veniva usato come calendario. Barry ci dice che il nome deriva dall’Irlandese “Cave of Gràinne”, allusione a un evento della mitologia celtica conosciuto da tutti bambini irlandesi. “The Pursuit of Diarmuit e Gràinne” narra l’amore illecito tra la moglie di Fion McCumhaill, capo della Fianna, compagnie di guerrieri che difendeva l’Irlanda dalle invasioni nemiche, e Diarmuit, uno dei suoi lungotenenti più fidati. Quando Diarmuit fu ferito a morte, il suo corpo fu portato a Newgrange dal dio Aengus nel vano tentativo di salvarlo, e la disperata Gràinne lo seguì nella grotta, dove rimase a lungo a vegliarlo dopo la morte.
Brú na Bóinne (la dimora del Boyne in irlandese) è un'area della valle del fiume Boyne delimitata tra le città di Slane e di Drogheda, dove il letto fluviale serpeggia in numerose anse. Qui è possibile ammirare un paesaggio archeologico, dichiarato patrimonio dell'umanità dall'UNESCO, unico al mondo e ora minacciato da speculazione edilizia e infrastrutture di devastante impatto ambientale: un esteso complesso archeologico con oltre 50 monumenti costruiti nel neolitico da un'antichissima civiltà contadina preceltica repentinamente scomparsa. Il sito più interessante è proprio Newgrange. Una pietra superbamente incisa con decorazioni a spirale doppie e triple si erge a guardia dell’entrata principale della tomba. L’interno è colossale e ci intimidisce: 200.000 tonnellate di terra e pietra che formano lunghi corridoi, massi decorati, quarzite bianca, pietre erette oblique, menhir, camera funeraria, nicchie, archi a volta a cesto su soffitti alti oltre 6 metri. In tutte le sale se ci si concentra in silenzio pare ancora di ascoltare i singhiozzi di Gràinne disperata per la perdita del suo amato. No, in realtà è Belén che fa la deficiente.

Pic: Newgrange Burial Chamber
Song: The Dubliners - Spanish Lady
Link: www.knowth.com/newgrange.htm

giovedì 6 dicembre 2007

Novità nel blog


I lettori di questo blog continuano ad aumentare. Più che la mia abilità di blogger penso esista un reale interesse per chi “mollo tutto e vado a vivere in Irlanda” e, se anche il blog era nato come mio diario privato e mezzo per rimanere in contatto con alcuni amici e parenti italiani, tutti i nuovi lettori arrivati tramite passaparola o link di blog amici sono benvenuti e spero che le mie vicende possano essere utili o almeno piacevoli da leggere per chi è o sarà o vorrebbere essere in Irlanda.

Segnalo alcune novità:
  • Graficamente ho modificato grafica e colori del template originario (che a molti piace e tanti amici bloggers lo hanno adottato per il loro blog) evitando di resuscitare il layout che avevo creato nei primi tempi. Banalmente il colore dominante è il verde, sull’header ci sono le Cliffs of Moher e sul toppino il ponte Ha’penny di Dublino. Nell'intestazione quello a destra sono io per chi non lo sapesse. Il mio faccione (usato anche come favicon) è presente per due motivi: egocentrismo (elemento essenziale per un blogger) e perché sulle meraviglie e sulle idiozie che ho scritto o scriverò mi piace metterci la faccio senza nascondermi nell'anonimato.
  • Nella colonna a destra c’è la funzione cerca con google e quindi mettendo lo spunto su utopie irlandesi, si può fare una ricerca (funzionante ora!) all’interno del blog, ho strutturato meglio i tag per fare una ricerca nel blog, aggiornato Irish Blogroll e Irish Links, inserito una last.fm playlist con cui cliccandoci potrete ascoltare la maggior parte delle canzoni citate nei post, pezzi che sono fortemente legate alla parte scritta, aggiunto una Creative Commons License, cioè il blog non ha copyright e potete utilizzare ogni contenuto (foto comprese) come vi pare purché citiate fonte e non sia per usi commerciali (mi raccomando, non voglio vedere su ebay “vendo post di utopie UB40 live at RDS prezzo asta di partenza 400 euro”!). Per capire cosa interessa maggiormente di questo blog, fino a Natale rimarrà online un sondaggio per capire cosa vi interessa sapere della mia esperienza irlandese. Infine c'è anche un'icona che indica l'alba e il tramonto e che se ci cliccate indicherà anche il meteo di Dublino, cosa fondamentale da queste parti anche se non siete meteoropatici (di questi tempi l'alba è alle 8.30 e il tramonto alle 16.00 e se lavorate in ufficio la luce solare non la vedete mai. Allegria!).
  • A Dublino mi sono portato i vecchi vizi che avevo in Italia. Cioè fare associazionismo. Anche da queste parti frequento molte organizzazioni con cui convidido visione e obiettivi. Sulla colonna destra sotto la voce eventi irlandesi indicherò di volta in volta alcuni eventi (culturali, sportivi, musicali, politici, teatrali, letterali, etc.) organizzati dalle "mie" associazioni in cui ho magari collaborato alla realizzazione. Chi è interessato può contattarmi (nel restyling ho inserito anche mia email dato che - inspiegabilmente per me - non tutti usano skype). Si inizia segnalando per giovedì 13 dicembre alla Celbridge Library un concerto di Jackie Daly & Paul De Grae, due dei migliori musicisti di musica tradizionale irlandese.
  • Causa spiacevoli recenti episodi mi vedo costretto a rifiutare commenti volgari, discriminatori o minacciosi in particolare nei confronti di altri partecipanti al blog. Non ci sarà nessun warning, ma la cancellazione immediata del commento se ritenuto non pertinente. Inoltre ricordo che non sono accettati commenti anonimi, questo non tanto per rispetto nei miei confronti dato che posso risalire all’autore tramite IP e origine geografica utente, ma per gli altri commentatori con cui eventualmente interloquire. I commenti rimangono ad ogni modo senza filtri e spero di non dover cancellare nulla.
  • Alcune campagne presenti negli scorsi mesi (e adesso trasferiteci tutti e save dafur) sono state rimosse giacché hanno già una buona copertura mediatica per quanto riguarda i blog, mentre ho lasciato il ribbon Blog in Rosso per la Birmania, un gesto simbolico per manifestare solidarietà nei confronti di una popolazione oppressa da una dittatura fortemente repressiva in cui interessi economici e politici hanno il sopravvento sui diritti umani. Se voleste inserire il ribbon nel vostro blog, potete copiare e incollare questo codice nel vostro template, prima della chiusura del tag body:
Pic: Holyhead Coast, Anglesey Island, Wales
Song: Fabrizio De André – Al ballo mascherato

Pic: www.utopie.it/campagne/blog_in_rosso_per_la_birmania.htm

martedì 4 dicembre 2007

Lavorare in una multinazionale


Lavorare in una multinazionale significa che dopo 10 giorni di un piovoso giugno passati inutilmente a Dublino alla ricerca di funzioni senior ed executive capisci che, senza un perfetto inglese e un po’ di work experience in Irlanda, non avrai grosse possibilità e miri più in basso e partecipi ad una fiera del lavoro in un lussuoso hotel di Connelly Street e consegni il tuo curriculum ad una importante agenzia di recruiting, che dopo 2 giorni ti contatta e ti fa fare 4 test psico-tecnici on-line, poi ti chiama e ti prepara alla interview che farai il giorno dopo, di venerdì. Passi l’interview e lunedì, 5 giorni aver dato il tuo cv alla fiera nel lussuoso hotel, è il tuo primo giorno di lavoro e firmi il contratto a tempo indeterminato per una multinazionale americano, settore IT.
Lavorare in una multinazionale significa che passi tutto le prime cinque settimane di assunzione in training con i nuovi assunti francesi, spagnoli, olandesi, irlandesi, italiani, portoghesi, svedesi o tedeschi con cui per oltre un mese condividi formazione pagata e divertenti uscite multinazionali. In questo mese fai buddy up con i tuoi prossimi colleghi e apprendi segreti e trucchi del lavoro, mentre ad agosto
dato il poco carico di lavoro potrai fare tanti corsi on line ed in aula su varie tematiche (applicativi software, project management, technical analysis, etc) con certificazione finale che ti mette gentilmente a disposizione l'azienda.
Lavorare in una multinazionale significa che paghi obbligatoriamente 5 euro al mese per attività sportive e sociali, con le quali puoi partecipare alle feste aziendali con tanti palloncini colorati (Summer Party, Halloween Party, Christmas Party, etc.) oppure fare tante attività come trekking, corsi di golf, pilates, badminton, scacchi oppure andare nella vicina piscina olimpica con prezzi scontatissimi.

Lavorare in una multinazionale significa che per 8 ore al giorno devi occuparti di noiosissimi rogne amministrative, contratti, problemi software e hardware di clienti e aziende perlopiù italiane.

Lavorare in una multinazionale significa che ti devi alzare alle 6.30 perché l’azienda si trova in un business park di Dublino West e tu preferisci alzarti presto, ma viver in centro piuttosto che fare una vita casa-ufficio.

Lavorare in una multinazionale significa che lavori in un dipartimento italiano e la cosa ti lascia perplesso all’inizio per il rischio di auto ghettizzarsi tra compatrioti e di parlare solo italiano, ma poi - geloso e rallegrato del tuo gruppo di amicizie internazionali che sei riuscito a crearti - imparerai ad apprezzare le partitelle di calcetto tra colleghi, la birra bevuta sui prati del Trinity College nelle lunghe serate estive del dopo lavoro, i sempre più frequenti leaving party e le chiacchierate gossippare in mensa nell’ora di pausa.
Impari a conoscere un dipartimento professionale, ma anche vitale e goliardico con cui tra una pratica e l'altra giocherai a lanciare palloni da rugby, a schermare con le aste delle finestre e a condividere spam, che tu incrementerai con vignette, foto e aneddoti (un ex collega ti ricorderà come quello che scrisse un lunedì mattina l'email intitolata "Titillarsi i capezzoli nel traffico cittadino alla mattina senza colazione").
Lavorare in una multinazionale significa che a fine luglio durante un training l’altoparlante annuncia un'assemblea improvvisa nella canteen. Tu vai e ti ritrovi con buona parte dei 1400 impiegati della multinazionale che provengono dai cinque edifici adiacenti. Nell’assemblea il direttore generale, nello stupore generale, dice che da settembre la gestione dei dipartimenti tecnici e finanziari verrà data in outsourcing e la maggior parte di noi diventerà un dipendente IBM. Ci tranquillizza: “non cambierà nulla”, anzi sono maggiori le opportunità. Sconcerto, preoccupazioni e speranze.
Lavorare in una multinazionale significa che nei mesi successivi le notizie dell’ outsourcing risulteranno più chiare: nei successivi mesi i dipartimenti verranno trasferiti in paesi con maggiore detassazione e minori costi del lavoro (India, Filippine, Bulgaria e Scozia). Noi potremo decidere di trasferirci nelle nuove locazioni con relativi stipendi (a Sofia 600 euro al mese) oppure rinunciare e cercare un inserimento in IBM oppure prendere una redundancy (una sorta di liquidazione). I tempi della fine dell’attività a Dublino non sono indicati. Prima si parla di novembre, poi di gennaio, poi di fine marzo. Nel mentre si bloccano le assunzioni a tempo indeterminato e i nuovi vengono assunti per uno o due mesi. Il clima è di smobilitazione.
Lavorare in una multinazionale significa che cerchi di capire se dalla crisi possono nascere delle opportunità e ti candidi per un ruolo interno di importante responsabilità. Con sorpresa, visto che sei
appena arrivato (da regolamento interno non puoi avare scatti di carriera prima di 9 mesi), la tua candidatura viene accettata e fai il colloquio, ma al momento non ricevi ancora risposta. Nel mentre rispondi stancamente ai recruiters che - mentre sei a lavoro - ti chiamano per proporti lavori dopo che hanno trovato tuo curriculum su monster.ie.
Lavorare in una multinazionale significa che vista la situazione a fine novembre inizi a guardarti attorno per vedere se ci sono altre opportunità a Dublino maggiormente coerenti con il tuo profilo ora che hai migliorato il tuo inglese con le tue attività extra lavorative e hai un’esperienza in loco. A fine novembre farai alcuni colloqui come fundraising manager, information systems analyst, lean manager e project co-ordinator. I recruiters ti dicono di non preoccuparti che con il tuo profilo nel giro di qualche settimana un lavoro qualificato lo si trova di certo. Tu fingi di crederci, ma sai bene che con il tuo livello di inglese e la forte concorrenza per ruoli medio-alti per essere ottimisti ci vorranno almeno un paio di mesi. Non c’è ansia e fretta però. In fondo almeno alcuni mesi ti tengono ancora e ti trovi bene nel dipartimento dove ti trovi ora. Dove si gioca a rugby tra i desk e si commenta ogni nuovo calendario sexy che Repubblica.it prontamente mette on line.


Pic: Xerox (Europe) Ballycoolin Business Park, Dublin
Song: R.E.M. – Losing My Religion

Link: www.xerox.com

martedì 27 novembre 2007

UB40 live at RDS


Belén dice che ascolto musica di cadaveri. Ma che c’è di male a preferire Fabrizio de André a Simone Cristicchi o gli UB40 agli Asian Dub Foundation? Anzi a proposito degli UB40, il gruppo pop-reagge di Birmingham suona alla Royal Dublin Society (RDS) di Dublino questo lunedì. Convinco Belén a vedere e sentire cosa sanno fare questi vecchietti. La sera del concerto arrivo in ritardo davanti alla Main Hall dell’RDS. Ho perso tempo in un inutile incontro sui diritti civili in Irlanda all’Eco-Unesco. Quando entro nella sala il concerto è iniziato da qualche battuta: il gruppo di supporto ha iniziato a suonare alle sette e trenta, mezz’ora prima dell’inizio previsto. Gli UB40 sono gia' sul palco quando arrivo. Riconosco l’attacco di “Red Red Wine”, accolto da un boato. Le luci sul palco lampeggiano intermittenti, colpi di decine e decine di flash rosa pastello, verde acqua, azzurrino, arancione, rosso fuoco, giallo e finalmente il bianco accecante delle luci ad arco.
Mi sento euforico, un po’ mi tremano le gambe per la corsa che ho fatto e per la violenza dell’urto, per il fatto di trovarmi immerso in una folla che sempre, allo stadio, nei palasport, negli shopping centre mi dà un senso immediato di soffocamento. Poi tutto passa, finche' non prendo coscienza di essere io stesso non più soltanto un individuo separato, ma l’elemento di un fatto collettivo. Così inizio a guardare non più con i miei occhi, ma con quelli della folla. Mi abbandono alla musica ai salti di chi mi sta attorno – una distesa di capelli chiari e di volti giovanissimi – alle danze, agli spintoni, alle urla. Il rimbombo della musica è assordante. Alcune migliaia di persone stipate nella sala che sudano, fumano, gridano, ballano, si abbracciano, si liberano di qualche indumento facendolo volteggiare nell’aria, si baciano, si urtano nel tentativo di giungere sotto al palco, là in fondo. Io mi metto ai margini della folla e vado nella catering hall grande quanto la main hall, giusto adeguata a questo simpatico popolo di alcolizzati. Centinaia di irlandesi mangiano chicken sandwich, hot dog, chocolate crepes e ovviamente pinte e pinte di Miller e Budweiser sopra un pavimento diventato un pantano di birra e fango. Torno nella main hall. Non riuscirò mai a trovare Belén, che – penso - arrabbiata non risponde ai miei messaggi sul cellulare. Sarebbe un miracolo trovarla, anche se ai miracoli io ho sempre, sinceramente, creduto. Bevo una birra e fumo finchè non mi sento completamente dissolto nell’onda collettiva che salta e canta. Mi muovo sulle gambe e scrollo la testa.
La musica incalza fortissima. I colpi della batteria elettronica sparati a qualche migliaio di watt fanno vibrare la cupola della sala. La luce sul palco è rosso intenso. Gli spettatori si divincolano, si contorcono sui fianchi, ancheggiano convulsamente pur seguendo un ritmo preciso. C’è gente che salta, altra che grida, chiome che oscillano freneticamente, braccia stese in alto, dritte, lunghissime, riccioli neri, nuche grondanti sudore, schiene, gambe, busti che oscillano e si agitano. Io mostro il mio braccialetto rosa - dato a chi ha prenotato i biglietti e ha diritto a stare sotto il palco - e mi trovo improvvisamente nel mezzo di un gruppo di cinque-sei ragazzi che ballano in circolo difendendo quasi selvaggiamente la loro porzione di spazio. In terra hanno ammucchiato giacche, cappotti, borse, pullover, sciarpe. Le ragazzine del gruppo mi circondano ridendo, mi stringono, mi colpiscono con tocchi rapidi dei fianchi intrappolandomi nella danza. Io sorrido e grido qualcosa. Una ragazza mi abbraccia, mi bacia, cerca di stringermi a sé. Una persona si avvicina e mi trascina via. E’ Belén con un cappello rasta e un cannone di 12 centimetri in bocca. “Do you like the other side of Belén?”, mi chiede ridendo. La guardo sorpreso e sorrido, “I like it”. Gli UB40 iniziano a suonare “Can’t Help Falling in Love”. Balliamo abbracciati per tutta la sera e la notte.

Pic: UB40 live at RDS
Song: UB40 - Red Red Wine
Link: www.rds.ie

sabato 24 novembre 2007

Celtic Tour - Galles


Il viaggio in treno lungo la costa da Liverpool verso il Galles è una meraviglia. Dal treno che passa a pochi metri dall' Irish Sea vedo susseguirsi piazzole di caravan, navi in disarmo, pecore e casette in legno. Mi fermo a Bangor e passo qualche giorno per villaggi nel Galles del Nord. Non ho piani, non ho letto guide, non ho prenotazioni. Ho solo un orario degli autobus locali del North Wales stampato a Liverpool, il mio zainetto di velluto verde e voglia di meravigliarmi. Prendo un ramblers bus ticket per 3 giorni e vago per le tortuose strade gallesi con bus eternamente in ritardo. Quando vedo un villaggio che mi piace mi fermo e vedo se il locale Inn (un pub con 1 o 2 stanze nel piano superiore) mi può ospitare. Stupisco non poco i locandieri che si trovano di fronte probabilmente per la prima volta nella loro vita un italiano in un giorno feriale di Novembre. Trovo sempre un caloroso “Croeso!” (“Benvenuto!” in gallese) e meravigliose stanzette semplici e pulite che non hanno subito la violenza di interior design alla moda. Per poche sterline generalmente è compresa una ricca colazione e una profumata pinta di Dyffryn Clwyd nel pub sottostante. Sono solo e nonostante la cordialità della gente sono rare le chiacchierate con i locali: non riesco e non mi sforzo di capire il loro iperbolico accento. Voglio prendermi qualche giorno tutto per me come non ho potuto fare a Cork qualche settimana fa. Voglio lasciare per qualche giorno il 38A delle 7.05 del mattino, le international dinner del sabato sera, i credit control del lavoro, i piatti sporchi sull’acquario di cucina, le telefonate interminabili con Belén, il jazz club della domenica. Voglio leggere il mio libro, fare lunghe passeggiate e ascoltare musica barocca dal mio Sandisk.
Per tornare a Dublino decido di prendere un traghetto da Holyhead. Ci sono 2 possibilità per lo stesso prezzo: il cruise che impiega 2 ore “o anche meno” oppure il ferry che impiega 4 ore “ma spesso anche 6”. Scelgo ovviamente il ferry. La stupita signorina della Irish Ferries cerca di spiegarmi che il ferry lo prendono solo i camionisti e i turisti estivi che non trovano posto nel cruise. La signorina senza poesia non sa che oltre a “truckers” e “tourists” esistono passeggeri che amano la lentezza e l’incanto del mare. La nave parte al tramonto e ho il tempo per fare una lunghissima camminata lungo la costa vicino al porto di Holyhead, nell’isola di Anglesey. Torno al porto e mi imbarco. Non è stagione di vacanze. Sul traghetto che può portare diverse centinaia di passeggeri siamo solo una dozzina: una decina di camionisti, io e una coppia di australiani.
Nonostante il freddo visito il traghetto all’interno e sui ponti. Sento l’inverno avvicinarsi e provo un senso di piacevolezza. La nebbia cala improvvisa e inaspettata. Il sole diventa di colpo un disco offuscato, pallido e poi sparisce. C’è buio e silenzio. La nave avanza nel nulla. Io sono sul ponte, a poppa, e non riesco nemmeno più a scorgere l’acqua di sotto. Fa freddo e la nebbia mi bagna. Di colpo il muggito di una sirena, una, due volte. Un suono quasi ancestrale, come di un corno che incita alla battaglia. E alla mia destra, a poche decine di metri, solcando il muro di fumo appare la sagoma enorme della chiglia di una nave. Vedo emergere dalla nebbia solo una scritta in caratteri cirillici. Lettere bianche e grandissime sospese nel grigio e dal significato per me incomprensibile. Una scritta che sfila davanti ai miei occhi e subito scompare inghiottita di nuovo dal freddo e dalla nebbia. Resto un attimo immobile, poi vado verso il bar. Ho bisogno di qualcosa di forte. Sono agitato. Mi sento come se avessi appena avvistato Moby Dick. Bevo il mio Jameson e acqua e vedo in lontananza dall’oblò le due torri della Poolbeg Chimneys e le luci della Dublin Bay. L’anima delle città di mare si può intravedere solo dal mare. Dublino benché faccia di tutto per nasconderlo è una città di mare. Dublino vista dal mare è bellissima.

Pic: Poolbeg Chimneys from Ferry
Song: Johann Sebastian Bach - Preludio e fuga a 3 voci
Link: www.nwt.co.uk

giovedì 22 novembre 2007

Celtic Tour - Liverpool


Arrivo a Liverpool da Glasgow alle 18.42 via Preston. Il Virgin Train corre veloce, ma non nasconde la inquieta campagna scozzese e le vermiglie e grigie città del nord Inghilterra. Alla Lime Street Station trovo ad aspettarmi CriCri, cioè Cristina una ragazza triestina conosciuta a Dublino e da poco trasferita a Leeds dove ha vinto una borsa di studio. Le ho parlato spesso degli ecovillaggi e delle comunità visitate in Inghilterra e lei mi ha fatto promettere di fargliene visitate uno: nei prossimi due giorni staremo alla “Shanti Community”, una comunità pacifista famosa per i suoi festival teatrali. Prima di andare nella comunità facciamo una passeggiata per la città. Liverpool è in fermento. Prossima capitale europea della cultura, la città sta completamente risorgendo e sfidando la modernità, i vecchi edifici vittoriano sono stati ripuliti e si stanno costruendo rivoluzionari edifici in acciaio e vetro. Andiamo all’Albert Dock. Il freddo è intenso, ma la città illuminata dal mare è stupenda. La zona portuale di Liverpool è un'area affascinante dove è possibile esplorare la crescita e lo sviluppo della città e dell'intera regione al di là del porto. Dai tempi in cui i monaci erano soliti attraversare il fiume Mersey su barche a remi allo sviluppo del Porto di Liverpool che lo ha portato a diventare uno dei principali e più trafficati porti mercantili europei. Il tratto più famoso della Mersey è Pier Head, ossia la testa di molo che dà vita al suggestivo e rappresentativo scorcio di Liverpool, dominato dai leggendari Liver Birds, gli uccelli da cui la città prende il nome.
Nella comunità pacifista veniamo accolti con una collana di fiori e un grembiule. La corona simboleggia la dolce e gratuita accoglienza, il grembiule la richiesta di collaborare alle loro attività comunitarie. Io decido di portare dei cartoni per il riciclo sopra una bizzarra bicicletta a 3 ruote, CriCri prima farà turni in cucina e poi si unirà a me e così ci perderemo insieme per le vie di Liverpool il giorno dopo. Dopo una cena vegetariana io e CriCri veniamo accompagnati in una saletta dipinta con 172 facce psichedeliche dei Beatles dove si sta tenendo un happening situazionista. Il pomeriggio vaghiamo per la città. Per ChinaTown (la prima al mondo), per i Docklands rinnovati, per la Cattedrale Anglicana che profuma di Muffin (per finanziarsi in una cappella c’è un caffè/ristorante), per i musei (il colorata e sorprendente Tate Liverpool, il ricco e commovente Merseyside Maritime, il noioso e deludente Beatles Story), per Mathew Street alla scoperta dei club dove iniziarono a suonare i baronetti dove ora suonano musicisti locali. Si sente aria di progresso e di modernità e di futuro ovunque. Come sono lontani gli anni ottanta tatcheriani con gli scioperi generali e le occupazioni di edifici, che a Duke Street sono stati lasciati immutati come memoria del passato problematico. Prima di andare via da Liverpool mangiamo da Yums in Bold Street, il buffet orientale con cui con 6 pounds e 40 penny puoi mangiare quello che vuoi di oltre un centinaio di piatti. CriCri torna a Leeds io vado verso il Galles.


Pic: Liverpool WaterFront
Song: The Beatles - When I'm Sixty-Four
Link: www.liverpool08.com

domenica 18 novembre 2007

Celtic Tour - Scozia


Le straordinarie idee sono rare. L’idea del mio collega di andare a vedere Scozia-Italia il 17 novembre a Glasgow è stata un’idea straordinaria. Con 8 colleghi parto dall’aeroporto di Dublino alle 6.30 con l’Air Lingus destinazione Glasgow per lo spareggio qualificazione europei con la Scozia: chi vince è dentro chi perde è fuori. Passiamo la mattinata per la città e dopo una visita all’ostello alle 16 siamo all’Hampden Scotland's National Stadium lo “scottish colloseum”, come dicono i pannelli lungo lo stadio. Il clima è festoso e colorato. 50.000 scozzesi vestiti in kilt e tartan oppure con la maglia blu crociata cantano l’inno della nazionale di calcio 500 miles dei Proclaimers: “When I wake up well I know I'm gonna be I'm gonna be the man who wakes up next to you When I go out yeah I know I'm gonna be I'm gonna be the man who goes along with you”. E’ un’occasione storica per la nazionale scozzese. Si sta per qualificare nel girone europea di ferro, quello con i campioni del mondo e i vice campioni del mondo. Bastano solo 500 miglia da percorrere ancora.
La partita inizia. Lo stadio è pieno. Non ci sono recinti. I tifosi scozzesi ci applaudono e ci sorridono. Il tempo di cantare l’Inno di Mameli con mano sul petto e dopo 70 secondi Toni segna. Siamo 0-1 per noi. Gli scozzesi continuano ad applaudirci e cantare. Nel secondo tempo pareggiano. Siamo 1-1. Gli scozzesi urlano il loro incitamento alla loro squadra fino all’ultimo minuto quando noi segniamo e spegniamo le loro speranza. Risultato finale 1-2. Noi siamo dentro la Scozia è fuori. I tifosi delusi continuano a applaudirci e congratularsi con noi. Ci regalano sciarpe e bandiere scozzesi e continuano a sorriderci e salutarci. E sarà così anche nella lunga serata scozzese con i locali che ci fermeranno per strada per fare una foto o bere una birra insieme. Come è lontana l’Italia del tifo immagine della guerra. Il giorno dopo con una sacrosanta bistecca 100oz in un pub saluto i miei colleghi che torneranno a Dublino è prendo il treno per Liverpool. Mi aspettano alcuni giorni nell’English’s Northwest e nel North Wales.

Pic: Hampden Scotland's National Stadium
Song: Proclaimers - 500 Miles
Link: www.hampdenpark.co.uk

mercoledì 14 novembre 2007

Italiani in Irlanda


  • Il Distratto
Marco, 28 anni, scorpione. Di Pavia. Vive a Dublino dal Marzo 2007. Ha sempre amato l’Irlanda, i verdi prati, la Guinness e le storie celtiche; è venuto a vivere la sua Irlanda. Vive a Dublino. Sviluppa software per la Creative. Un giorno andrà a vedere la Chester Beatty Library, la Custom House o il Trinity Collage. Non c'è fretta. Un giorno vedrà il Museo Nazionale e la cattedrale di St. Patrick's. Non c'è fretta. Un giorno andra' a vedere Cork, Galway e Belfast. Non c'é fretta. Chissà magari vedrà i Cliffs of Moher e l'isola di Aran. In tanti mesi non ha mai visto il mare. Eppure dai video degli U2 si vede il mare di Dublino e due strane torri. Ha deciso. Sabato pomeriggio andrà a Howth. Ma non c'è fretta. Anche questo sabato preferisce dormire.
  • L’Esterofila
Elisa, 27 anni, leone. Di Verona. E' venuta a Dublino 2 anni fa. Per 6 mesi ha fatto la ragazza au pair presso una famiglia di Artane. Nel mentre ha fatto un corso di contabilità alla Dublin City University. Poi si è innamorata dell'Irlanda e di John un ragazzo irlandese col quale ora convive a Phitsboro. Lavora come impiegata presso l'ufficio rimborsi tasse della contea. Il mese prossima sarà promossa manager. Parla solo inglese e quando incontra italiani fa finta di essere spagnola. E' oltre una anno che non torna in Italia, un paese che non sente più il suo.
  • L’Italiano Vero
Giulio, 31 anni, vergine. Di Latina. Vive a Dublino dall’Ottobre 2006. E’ venuto qua dice “per migliore l’inglese”. Ha trovato lavoro in un call centre di una multinazionale americana. Lavora per il mercato italiano dalle 7.30 alle 16.30 tutti i giorni. Per 8 ore risolve problemi a clienti brianzoli o lucani. Nel suo dipartimento lavorano 34 italiani, che sono anche i suoi amici. Vive con una coppia di Caserta. A volte cena con dei colleghi (la sua specialità è la pasta alla Norma che lui fa con il Cheddar non avendo trovato la ricotta secca). Ogni primo venerdì del mese fa una pubbata con gli italiani residenti a Dublino. Si ritrovano sotto lo Spire. Bevono birra e parlano di bagni senza bidet e di come mangiano male gli irlandesi. Il primo Novembre è tornato in Italia. In aereo il comandante ha dato alcune indicazioni. Non è riuscito a capirle.
  • Le Avventuriere
Carla e Fiorenza, 22 e 23 anni, entrambe bilancia. Di Messina. Vengono questa estate a Dublino, vorrebbero passare qualche mese e migliorare l'inglese. Cercano un lavoro in qualche ristorante o pub. Il livello di inglese è elementare. Non sapevano che servisse un curriculum. Lo scrivono qua. Carla indica come livello di inglese "sufficient", Fiorenza invece scrive "so so". Dopo un mese non hanno ancora trovato nulla (la stagione sta finendo). Alla fine trovano un posto da lavapiatti in un ristorante italiano di dublino sud. Resistono tre settimane. Poi tornano in Sicilia.

n.b. Ogni riferimento a fatti o persone realmente esistenti è puramente casuale.

Pic: Tagliatellata tra italiani a Dublino
Song: Elio e le Storie Tese - La Terra dei Cachi
Link: www.irlandando.it

giovedì 8 novembre 2007

Gli Invisibili


Dublino è una città sporca. Ma quasi nessuno se ne accorge perchè strade e marciapiedi vengono puliti in centro ogni 4 ore. Dublino è una città inquinata. Ma quasi nessuno se ne accorge perché piove ogni giorno. Dublino è una città con tanti alcolizzati. Ma quasi nessuno se ne accorge perché appena la Garda ne trova uno lo porta via. Dublino è una città piena di poveri e emarginati. Ma quasi nessuno se ne accorge perché appena un homeless o un immigrato clandestino chiede la carità per strada viene portato via dall’onnipresente poliziotto di quartiere o dalle Sorelle della Misericordia.
Il fatto che noi non vediamo le cose non significa che non esistano. Chi non vede ghetti pensa che non esistano. Invece ci sono. Basta avere gli occhi, il cuore e lo stomaco per cercarli e vederli. Forse chi vede in Dublino solo integrazione, progresso e opportunità non ha mai visto le dozzine di cinesi che dormono ogni notte affianco uno su l’altro sui pavimenti dei negozietti asiatici di Parnell Street. Non ha mai visto le sartorie di africani nei seminterrati senza finestre di Abbey Street a pochi metri dallo Spire. Oppure non ha mai notato i muratori moldavi pagati in nero che lavorano 14 ore al giorno nei nuovi palazzi di vetro e acciaio a Clontarf. O le stirerie pakistane nel nuovo quartiere posh di Dublino, cioè Smithfield in cui passano tutta la giornata a lavorare ragazzine di 14-15 anni a fianco ad appartamenti di 100 metri quadrati in vendita a 300 mila euro.
Forse sarà il mio passato da operatore nella solidarietà internazionale, ma anche a Dublino non posso che chiedermi cosa stia facendo l’Occidente al Sud del mondo. Anche l’Irlanda, ex colonia che ha dovuto subire tanti abusi e violenze nella storia non è innocente. Con quale ipocrisia l’europeo impone regole e comportamenti come se i valori fossero ancora dell’Occidente quando invece tutto dimostra il contrario? Quale è la ragione per cui da ogni angolo del mondo i più disgraziati, i più poveri, i reietti della storia, le valanghe di straccioni, le orde di pezzenti e di medicanti invadono le città dovendo addirittura scimmiottare, per integrarsi, di essere educati, perbenisti, ipocriti come una immensa middle class europea?
Come non provare una immensa, profonda, proprio interiore vergogna nel vedere gli occhi del ragazzo indiano con la sua giubbetta McDonald steso sul letto nel tentativo di recuperare qualche ora di sonno fra un turno e l’altro? Il risultato è che ci stiamo contendendo le città palmo a palmo con i poveri. E io posso già vedere la vecchia Europa, con tutta la sua grandeur e la sua cultura conquistata dalle masse dei più miseri, dei più affamati, dei più sfruttati. Sarà la loro guerra. I poveri si vendicheranno seminando figli ovunque, riproducendosi a raffica come il crepitio delle mitragliatrici, occupando ogni postazione con i propri cadaveri, usando se stessi come forza di sfondamento. Vinceranno, e di loro, evangelicamente, sarà la terra.

Pic: By the River Liffey, Dublin
Song: Miriam Makeba - Pata Pata
Link: www.ria.gov.ie

martedì 6 novembre 2007

Dublin ghetto


Dublino non ha una periferia degradata. Il degrado arriva fino in centro. A differenza di altre città con un centro pulito e lindo e un hinterland abbandonato, a Dublino trovi quartieri residenziali affianco a dormitori in periferia e ghetti insieme a quartieri bijoux in centro. Questo lo trovo meraviglioso e vitale. Ma anche sorprendente. Vado in centro per vedere alcuni appartamenti e mi trova di fronte la faccia nascosta di Dublino: quella dei ghetti per extracomunitari.

L’annuncio indicava un bilocale per 800 euro. Nulla per i prezzi folli di Dublino. Vado a cercarlo nei pressi di Mountjoy Square a Dublin 1 in pieno centro di Dublino. Trovo una palazzina di mattoni rossi schiacciata tra una strada senza uscita e un piccolo convento. Nell’ingresso c’è una specie di bureau. L’aria è pesante, sa di chiuso e di cibi fritti. Mi accoglie un pakistano piccolo e dalla pelle livida. Parliamo del prezzo e della modalita’ di affitto. Poi arriva una inserviente per portarmi a visitare il bilocale. E’ una donna grassa, esuberante, dai capelli rossi. Ha un’espressione incattivita, incarognita. Parla a scatti trascinandosi sulle scale. Indossa un camice bianco. Dal fianco destro pende sulla coscia un mazzo di un centinaio di chiavi e passepartout infilati in un grande anello. A ogni chiave e’ legata una targhetta metallica con su un numero o una lettera. Il rumore della ferraglia, scalino dopo scalino, è atroce. Come di un clangore di catene. Lei ha uno chignon rosso unto in cima al capo, come una frittella, e quando alza la gamba per affrontare il gradino il grembiule le scivola, torcendosi un poco, sulla natica e scopre il retro della coscia grumosa, di un biancore osceno, compressa in una calza di nylon arrotolata, come un insaccato in un budello.
Salita la prima rampa di scale arriviamo in un corridoio strettissimo in cui passiamo con le spalle addossate alla parete. Di fronte c’è una parete bianca di compensato in cui si aprono piccole porte simili a quelle di un vagone letto. Lei sceglie una chiave e spalanca, verso l’interno, la porta. La luce è diffusa da neon che non si spengono mai, una luce lattiginosa e senza ombre. Nello stanzino c’è una branda, lenzuola arrotolate, un tavolino colmo di abiti, una sacca aperta traboccante di biancheria usata. Un giornale sportivo arrotolato attorno al neon. Non c’è la finestra. Un fornellino elettrico con un tegame, qualche tazza, resti di caffe’. La puzza di cibo avanzato è insostenibile. La donna mi guarda, scuote la testa senza dire una parola. Allora lei prende a spalancare tutti uno dopo l’altro tutti i loculi di quel corridoio, cinque o sei. Uno dopo l’altro come un controllore. Non bussa, non parla. Ripete solo il prezzo del loculo. Sdraiato su un letto, vestito con la divisa puzzolente del McDonald, c’è un ragazzo di colore che dorme. Non protesta per quell’intrusione, si getta sotto il cuscino sul viso. In un’altra stanza c’è una finestra. Un piccolo angolo. Le pareti la tagliano dividendola con altri loculi in modo che al piano di sopra avranno una finestra a livello del suolo e qui a livello del bassissimo soffitto.
La donna è ancora sulla soglia con il suo mazzo di chiavi in mano. Io dico semplicemente “Ho visto, le farò sapere” e cerco di andarmene. Voglio fuggire, dimenticare questa intrusione nella piccola e disperata intimità di questo popolo oppresso e sfruttato, che lavora una media di dieci, quindici ore al giorno per potersi pagare quegli avelli infernali. Scendo le scale e su un pianerottolo vedo una fila di porte strettissime, una a ridosso delle altre. Immagino di cosa si tratti. Ne apro una. In uno spazio inferiore al metro quadrato sono un w.c. e un piccolo lavandino. Una toilette bassa e claustrofobica come sugli aerei. L'unica differenza è che da qui non si va da nessuna parte, solo verso il dolore e i disperati abissi dell'emarginazione.
Devo camminare un pò per togliermi dalle narici l'odore di quell'inferno. Mi fermo in un pub per una pinta di Guinness.

Pic: Dublin CityCentre
Song: Daniele Silvestri - Io Fortunatamente
Link: www.immigrantcouncil.ie

domenica 4 novembre 2007

Autunno Jazz – Passeggiate silenziose


La sera il concerto del Richard Galliano/Gary Burton Quartet è bellissimo. Molto deludenti invece i The Leaders e se Chico Freeman è il migliore sax tenore vivente come ha scritto Mojo io sono il miglior armonicista del creato. Per altro abbastanza d’urto il passaggio dai tango e le musette suonate da Galliano con il sincopato free jazz dei The Leaders. Nella seconda parte in effetti nonostante l’alto costo del biglietto parte del pubblico va via oppure dorme, come Sarah che informata dell’arrivo inaspettato decide comprensiva di rimanere nel teatro, mentre io verso le 11 vado alla stazione degli autobus di Cork.
Belén scende per prima. L’accolgo, le prendo la valigia, prendo il mio zainetto all’ostello e andiamo alla Crawford House, il B&B in stile georgiano con ampie stanze dipinte di morbido verde che ha prenotato per stanotte. Decide di pagare tutto lei e io a un certo punto cedo. In fondo il suo stipendio è quasi il doppio del mio ed è stata sua la scelta di venire qua. Fino all’arrivo al B&B quasi non parliamo. Parleremo invece tutta la notte fino all’alba. L’alba ci saluta che ancora ci confrontiamo e troppo stanchi per andare a dormire facciamo una passeggiata lungo i docklands di Cork, tra pescherecci e navi container ancorati sul bordo del Lee River. Incomincia a piovere e io cerco rifugio sotto una barca in riparazione mentre Belén danza sotto la pioggia. Vorrei essere altrove.
Torniamo alla Crawford House dove troviamo una allettante colazione con pane all'uvetta, marmellata fatta in casa e caffè preparato con la moka visto che sono italiano. Mangio solo io. Dormiamo qualche ora e poi giriamo silenziosi per Cork tra musicisti di strada e bande che fanno la loro allegra parata per le strade principali. Visitiamo il Lewis Glucksman (il migliore museo di arte moderna d’Irlanda) dove è allestita l’interessante mostra “Beyond the country” sul rapporto uomo/natura. Risaliamo il Lee South Channel e torniamo in centro. Mangiamo al Quay Co-op, ristorante vegetariano punto di riferimento della Cork alternativa, dove il cameriere/artista cerca di venderci alcuni suoi quadri. Il pomeriggio prima di ripartire prendiamo il treno per Cobh, isolotto posto alla foce del fiume Lee proprio davanti alla città di Cork, Great Island; nonostante ciò non servono imbarcazioni per raggiungerla, dato che è molto vicina alla terraferma alla quale è collegata con una serie di ponti con Fota Island. Cobh appare allegra e colorata anche se qui fece il suo ultimo scalo il Titanic e il Lusitania poche miglia al largo venne silurato nella seconda guerra mondiale (toccante dietro l’imponete cattedrale St Colman il cimitero dove sono sepolte molte salme). Cobh è un posto piacevole dove passeggiare e immaginare con commozione le migliaia di irlandesi che da qui partirono verso l’America per sfuggire alla carestia o alla povertà.
La sera prendiamo il bus per Dublino. C’è stato poco jazz nella giornata. E mi accorgo solo ora che la mia ricerca di solitudine è stata fallimentare essendo sempre stato sempre con qualcuno al mio fianco durante i tre giorni (non sono riuscito al leggere una riga del mio libro). Sento il bisogno di lontananza anche durante il ritorno in autobus dove con Belén al fianco continua a esserci tensione. A un certo punto vedo Belén che cerca una posizione per riposare. Alzo il braccio e le offro un appoggio. Lei rifiuta. Io insisto. Lei si accovaccia. Le accarezzo i cappelli. Lei si volta verso di me, mi guarda sorridendo con gli occhi chiusi e mi stringe fino a farmi quasi soffocare. Le ricambio la stretta. Lei dopo pochi secondi cade in un sonno profondo e liberatorio fino a Dublino. Io non chiudo occhio. Al mio fianco non so più chi c’é. Di certo non più un amica.

Pic: Charles Fort, Kinsale
Song: Ryuichi Sakamoto - The Sheltering Sky
Link: www.quaycoop.com

giovedì 1 novembre 2007

Autunno Jazz – Per la contea di Cork


Arrivo allo Sheila’s Hostel con le compagne di viaggio in bus Rosa e Maria Sol due ragazze spagnole con cui si decide per andare insieme per Cork la mattina successiva. Erano alcuni anni che non frequentavo ostelli. Mi ero dimenticato che oltre che occasione di incontri sono anche momenti di condivisioni di odori e rumori. Nella mia camera da 4 trovo un ragazzo giapponese dal nome impronunciabile, una ragazza francese molto bella che dorme in tanga e mini body e un tipo con cui non scambio una parola, ma di cui non posso non notare il suo russare da trattore senza guarnizioni e il suo ph acido (in altre parole puzza come un coyote bagnato…). La bella francese pare abbia effetti sul giapponesino che si masturba selvaggiamente tutte le notti facendo cigolare per ore il suo letto a castello accordandosi al coyote-trattore che dorme sotto di me. Bella invenzione i tappi per le orecchie in gommina…
La mattina con Rosa e Maria Sol andiamo in giro per la città: si visita il tetro e toccante Cork City Gaol, si gira per le stradine di Shandon, si sale sul campanile della St Anne’s Church e suoniamo le campane del “Four-Faced Liar” (il campanile che in ogni facciata indica un’ora diversa). Dopo una lezione di danza jazz al Firkin Crane e un sandwich al T Cups Cafè cerco di convincere le ragazze della bellezza del jazz. Il modo migliore per approcciarsi al jazz è capire “come funziona” e vedere un concerto Dixieland. E quello che faccio. Il festiva Jazz di Cork si sviluppa in 3 momenti fondamentalmente: i grandi eventi nei principali teatri, il Guinness Festival Club al Gresham Metropol Hotel dove dalle 13 all’alba ci sono continui concerti gratuiti contemporaneamente in 6 salette, il Festival Fringe & Cork Jazz Week e il Musica Trail nelle strade, nei pub, nei ristoranti, nelle librerie, nei shopping centre, nei cinema, nei club, negli hotel, nei ristoranti dove si può assistere a musica live, parate stile New Orleans, mostre, video, conferenze, lezioni di danza, musica o cucina creola, etc. Molto divertente passare il pomeriggio al Gresham Metropol Hotel dove bevendo Guinness sulla elegante moquette si gira per salette in ricerca del proprio stile jazz preferito. Le ragazze spagnole dopo aver cantato a squarciagola When the Saints go marching In con i Golden Age of Jazz Allstars sono conquistate subito al jazz. Certe cose succedono solo in Irlanda.
La sera la passo in giro per locali di Cork che quasi tutti aderiscono al festival e presentano musica live. Faccio crowl tra dozzine di concerti di ogni tipo per la città: al The Rob Roy c’è musica irish, al An Bodhran swing, allo Scott ska, al Long Valley blues, allo Old Oak rock revival, etc. Sarà il festival, sarà la divertente compagnia, ma Cork mi appare molto vitale. Ci vado insieme a Tatiana una ragazza italiana che studia a Cork che avevo conosciuto a Dublino un paio di mesi fa e sapendo della mia presenza si è offerta di portarmi in giro la sera (non di giorno perché sta preparando un esame). In un locale si aggregano a noi 2 ragazze di Sligo e un danese qua per il festival. Dopo qualche Guinness sembriamo amici da sempre. Certe cose succedono solo in Irlanda.
Il giorno dopo vado a Kinsale una cittadina ricca di vita e di colore. Strette case serpeggianti, case minuscole, barche da pesca e yacht danzanti alla fonda conferiscono al luogo un aura seducente. Sul pulmann incontro Sarah, la fidanzata inglese di un chitarrista che suona al festival di Cork. Mentre mi racconta la sua vita facciamo i 3 chilometri di sentiero sulla splendida costa fino al Charles Fort, una fortezza seicentesca con la pianta a stella. A pranzo accompagnati dalla musica live dei The Chili Brothers per il Kinsale Jazz Fringe Festival (una succursale di quello di Cork) mangiamo al Muddy Maher’s insieme a un paio di pinte di Kinsale (una discreta lager locale) un Ocean Chowder e il famoso Muddy’s Fish Fry up!, cioè una fantastica zuppa oceanica e un gigantesco piatto di scampi, ostriche, fish cake, gamberetti, fish goujions e french fries. Il pomeriggio ascoltiamo un po’ di musica negli allegri locali della cittadina e decidiamo di vedere insieme il concerto la sera al Everyman Palace Theatre di Cork. Suonano i grandi Richard Galliano/Gary Burton Quartet e i The Leaders capitanati da Chico Freeman, che si dice sia il miglior sax tenore vivente. Prendiamo il pulmann delle 16.45 e in viaggio decidiamo di scambiarci i numeri di cellulare per rivedersi la sera. Riaccendo il Motorola che da 2 giorni tenevo spento e trovo 5 sms papiro di Bélen. Nell’ultimo mi dice che deve parlarmi subito di persona. Che sta venendo a Cork. Che ha prenotato un B&B per noi stanotte. Che è sicura di trovarmi al suo arrivo. Che sarà a Cork alle dieci e mezzo di sera. Novità in arrivo…

[continua….]

Pic: Golden Age of Jazz Allstars, Gresham Metropol Hotel, Cork
Song: Richard Galliano - Opération tango
Link: www.muddymaher.com

lunedì 29 ottobre 2007

Autunno Jazz - Preambolo


Ogni anno l’autunno mi porta di questi sentimenti. Bisogno di silenzi, di solitudine, di ricordi. Bisogno di viaggiare. Di ricapitolarmi. Bisogno di riflessione. La terra mi chiama a sé e mi invita a raccogliermi. E io sento questo richiamo e lo seguo. So solamente che devo mettermi in viaggio e cambiare routine. Vorrei dormire anni, mille anni, sdraiato in un bosco silenzioso, su di un letto di foglie gialle abbaglianti, o rosse come la vite a ottobre, o arancioni come gli aceri canadesi, o carnosamente violacee.
Piu' semplicemente venerdì ho l'early day e esco dall’ufficio alle 15 e lunedì 29 in Irlanda e' bank holiday e non si lavora. Dal 26 al 29 ottobre a Cork c’è il Guinness Jazz Festival quello che i giornali chiamano “The Jewel in the Crown of the Irish Festivals”. Quello da farsi è subito chiaro: prenoto 3 notti in ostello a Cork e un paio di concerti. Non ne parlo con nessuno. Ho voglia di andare solo e stupirmi degli incontri che farò. Ho radunato il mio scarno bagaglio nel mio zainetto di velluto verde. Porto con me un solo libro che intendo leggere, riga dopo riga, come i versetti della Bibbia. Ho un quaderno per scrivere, una Pro Harp in Fa e una Blues Harp in Do da suonare e un lettore MP3 per ascoltare musica.
Venerdì prendo l’autobus Bus Eireann delle 18, il numero 8. Dovremmo arrivare alle 22 e 25, ma Cork ci accoglie sotto una fitta pioggia che sono quasi le 2. Il viaggio Dublino-Cork dura oltre 7 ore a causa di uno scontro tra tir dalle parti di Urlingford che ci blocca per un paio di ore. Inoltre nei pressi di Cashel una ragazza che viaggia con noi ha un malore e aspettiamo per oltre un’ora un furgoncino anni 70 senza una sirena che proviene dall’ospedale distante meno di 30 chilometri. Il furgoncino che qua definiscono ambulanza rappresenta bene la disastrata situazione della sanità irlandese. Nell’attesa nessuno si lamenta, ma assisto a una gara di solidarietà per dare qualcosa alla ragazza febbricitante che accetta imbarazzata acqua, cuscini, giubbotti, salviette, e whisky (!?). Certe cose succedono solo in Irlanda.
Nella fredda e piovoso notte Cork mi appare una fredda città quasi mitteleuropea. Il suo vitale animo mediterraneo lo scoprirò a breve. Ci sono state sorprese lungo il tragitto, non saranno le ultime di questo lungo week end nell’Irlanda del sud.


[continua…]

Pic: Lee River di Cork

Song: Carlsberg Brass Band – New Secon Line
Link: www.corkjazzfestival.com

mercoledì 24 ottobre 2007

National Map Centre


Al 34 di Aungier Street c'è un angolo di poesia. Il National Map Centre. Un piccolo spazio caotico ricco di cartine, mappe, documenti e rilevazioni. Volete fare un trekking a Blarney, Killarney o Cliffs of Moher senza intrupparvi in un turistico torpedone farcito di anziani turisti teutonici? Questo è il posto giusto per voi! Trovate tutte le mappe con sentieri, elaborazioni orografiche, foto satellitari e tracciati militari. Dell'Irlanda ovviamente.
E se apparirete abbastanza simpatici a Mark, il timido direttore nel centro, riuscirete forse anche a dare un'occhiata al seminterrato dove tra scaffali stippati di foldoni in una inebriante aria mista muffa/polvere vengono archiviate le vecchie mappe dei primi del novecento con incise sopra frasi ingiuriose contro gli inglesi dominatori.

Pic: National Map Centre, Dublin
Song: Samuele Bersani - Giudizi Universali
Link: www.mapcentre.ie

venerdì 19 ottobre 2007

Il meglio di Dublino – Parte prima


  • Chester Beatty Library
Il miglior museo irlandese e uno dei più belli al mondo. Una collezione di manoscritti, libri rari, dipinti in miniatura, tavolette d’argilla, calligrafie, costumi e ogni oggetto che avesse un'anima raccolti in tutto il mondo dall’ingegnere minerario Chester Beatty. Non perdete la terrazza zen sul tetto e i rotoli di pergamena e opere d’arte provenienti da Cina, Giappone, Tibet e sud est asiatico.
  • The Spire
La scultura più alta al mondo. Lo Spire progettato e realizzato per commemorare la fine del millennio e sostituire la Colonna di Nelson fatta esplodere dall' IRA nel 1966 è il vero simbolo della Dublino di oggi. Fantastica torre d’acciaio costata 4 milioni di euro alta 120 metri per 3 metri di diametro alla base per 15 centimetri sulla punta e 126 tonnellate di peso, è luogo di ritrovo e orientamento, omaggio alla lotta contro la dipendenza dall’eroina, simbolo della riappacificazione irlandese, emblema della rinascita economica dublinese.
  • L’atmosfera
Ottimistica, giovane, serena, proiettata al futuro, cosmopolita, vitale. Come la New York dei primi del 900. Un temporaneo o permanente approdo verso nuovi percorsi ricchi di speranza.
  • Kilmainham Gaol
Se volete conoscere la storia dell’Irlanda e di Dublino più utile della lettura di tanti libri di storia è la visita alle gotiche prigioni di Kilmainham, magari guidati dalla vecchia guida George, che vi parlerà con trasporto nazionalistico di queste prigioni che videro al loro interno sia masse di irlandesi che si facevano imprigionare nelle gelide celle per sfuggire alla drammatica carestia dell’ottocento sia i nazionalisti irlandesi che qua passarono anni o furono giustiziati dagli inglesi.
  • I pub
Mille e più pub dove chiacchierare, leggersi un libro, bere birra, vedere partite di rugby o hurling, innamorarsi, ballare nel piano di sopra o nel seminterrato, ascoltare grandiosi musicisti, mangiare un irish stew o un fish and chips, giocare a bigliardo, prendere il sole o sfuggire alla pioggia, … e altro ancora.

Pic: The Spire, O'Connell Street, Dublin
Song: Christy Moore - Tippin' It Up To Nancy
Link: www.cbl.ie

sabato 13 ottobre 2007

Sardità


Sono sardo. Anche se non parlo sardo e a malapena lo capisco. Non sono uno di quelli che rivendica l’identità, le radici e la famiglia come valori assoluti. Preferisco come valori la tolleranza, l’inclusività e la multiculturalità. Ci sono momenti in cui però mi sento più sardo e riscopro le caratteristiche della mia terra che anche se volessi non potrei cancellare dal mio carattere come la dignità, l'ospitalita' o la totale mancanza di senso dell'umorismo. Rifletto su questo in occasione di due avvenimenti capitati nei giorni scorsi: la scomparsa di Tzia Raffaela Monni e il concerto di Paolo Fresu a Dublino. L'idiozia nazista di certi giudici tedeschi preferisco non commentarla.
Tzia Raffaela Monni è morta a 109 anni ad Arzana; era la donna più anziana d’Italia ed era stata inserita nel programma scientifico denominato "A kent'annos" (A cent'anni), un insieme di indagini volte a scoprire il perché dell'alta concentrazione di centenari in Sardegna, e in particolare proprio nella mia Ogliastra (speriamo bene per la mia longetività!).
Paolo Fresu invece, all'interno del Dublin Theatre Festival, al Vicar St ha portato a Dublino lo spettacolo Sonos’e Memoria, il bellissimo spettacolo fatto dalle immagini di repertorio sulla Sardegna dal 1920 al 1959 raccolte da Gianfranco Cabiddu con colonna sonora orginale composta dallo stesso Paolo Fresu eseguita dal vivo. Nello spettacolo si cerca di ripensare la propria cultura, esplora un territorio nuovo, tutto da scoprire. È musica per immagini e immagini per la musica. Un viaggio in una Sardegna insolita, fuori da coordinate geografiche e temporali, quasi esotica, astratta. Con Fresu ho ritrovato i migliori musicisti sardi: Furio di Castri, Elena Ledda, Mauro Palmas, Antonello Salis, Federico Sanesi e il mio vecchio maestro di launeddas Luigi Lai.
Sono sardo. Anche se non parlo sardo e a malapena lo capisco. Ma ormai da diversi anni quando mi chiedono “Where are you from?” non rispondo più “I’m from Italy”, ma “I’m from Sardinia”.

Pic: Paolo Fresu - Sonos 'e Memoria al Vicar St (photo by Belén)
Song: Stefano Bollani Quintet – Sardità
Link: Tzia Raffaela Monni

martedì 9 ottobre 2007

Un week end pre-moderno


La Hill of Tara ad un occhio poco attento potrebbe sembrare un campo da golf mal livellato, ma in realtà è il posto più magico d’Irlanda. Un luogo di una energia straordinaria. Un energia potente quanto quella che ho trovato nella Moray Firth coast in Scozia presso la comunità di Findhorn e a Somunca Baba in Turchia tra danzatori sufi.
Tara fu la dimora dei druidi, i mistici re-sacerdoti delle antiche popolazioni celtiche. Più tardi fu la capitale cerimoniale degli “alti re” che governarono il paese fino all’avvento del cristianesimo, nel VI secolo. I celti pensavano che Tara fosse la sacra dimora delle divinità e la porta di accesso all’oltretomba. E inquietante pensare che il governo intenderebbe far passare attraverso il sito un tratto della N3 lungo 9 miglia, con un gesto di vandalismo sponsorizzato dallo stato che ha creato molte polemiche e un presidio stabile sul sito. Con Belén si decide sabato di partecipare alla protesta e dormire la notte presso l’accampamento che si è creato vicino alla Hill of Tara.
Prendiamo l’autobus Bus Eireann 109 con fermata Tara Cross. Durante il viaggio commentiamo l’articolo comparso in prima pagina sul The Irish Time sulla generazioni di “bambaccioni” italiani come ci ha definiti giustamente il Ministro dell’Economia. E' difficile spiegare a Belén che in Italia la generazione nata negli anni settanta e ottanta è una generazione perduta e senza futuro, spiegare che in Italia non esistono sussidi alla disoccupazione, che esiste la flessibilità senza ammortizzatori sociali, che la spesa per le pensioni assorbe quasi tutte le risorse del welfare mentre i vecchi di domani non avranno pensione, che l’Italia è composta da caste e corporazioni, che il 59% degli italiani tra i 18 e i 34 anni vive ancora con i genitori (contro il 10% della sua Spagna). La cosa più difficile da spiegare è come mai i giovani italiani accettino tutto ciò.
A Tara troviamo una giornata rigogliosamente calda come mai da settimane. Con perplessità e curiosità mi lascio guidare da Belén alla scoperta dei punti sacri e spirituali della torbiera e facciamo riti celtici vagamente ridicoli presso il Ràth of the Synods, il Mound of the Hostages e la Banquet Hall. La sera andiamo all’accampamento per una frugale cena. Si sta tenendo una meditazione guidata. Dopo la cena si parla del popolo Birmano, si beve sidro e si cantano canzoni pacifiste intorno al fuoco fino a quando la nebbia ce lo permette e io mi sento nel posto giusto nel momento giusto.
Peccato che si debba dormire in tenda e io odio i campeggi. Io e Belén finiamo in una tenda igloo verde vicino a una tipi tent dentro a 2 sacchi a pelo del tipo “a mummia” o a “larva” che si stringono nella parte inferiore impedendoci qualunque tipo di mobilità. Opportuni in quanto utile barriera alle “tentazioni della carne” (il sesso si sa rovina le belle amicizie), ma piuttosto opprimenti quando nella notte sentiamo avvicinarsi un animale (un banale equino per me, un ancestrale “ariete celtico” per la compagna di tenda…).
Il giorno dopo si passa la giornata in passeggiate, meditazioni, cucina, riti sciamanici e conoscenza della della variopinta comunità che presidia la zona: studenti irlandesi del Trinity, turisti canadesi, hippy svizzeri, anziana coppia di tedeschi in camper, associazione celtica danese, bikers neozelandesi, ricercatrice sudafricana. Io racconto che nello stesso giorno in Italia si sta svolgendo la Marcia della Pace Perugia-Assisi con 200.000 partecipanti. Le poche dozzine di presidianti si stupiscono dell’alto numero dei partecipanti e allora io parlo dei 2 milioni di presenti a Roma contro la guerra in Iraq o delle affollate manifestazioni contro la base Nato a Vicenza o contro la TAV in Piemonte. E per la prima volta da quando sono in Irlanda mi sento orgoglioso di essere italiano.

Pic: Accampamento Save Tara Valley
Song: Lùnasa - Enàir
Link: www.savetara.com